LA CINA È L’EREDE DELL’OTTOBRE ROSSO
[Per il centesimo anniversario del partito comunista cinese.
La Cina contemporanea, erede principale dell’Ottobre Rosso e del bolscevismo.
Un articolo di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli]
Quale tipo di eredità politica lascia e proietta fino ai nostri giorni l’epocale rivoluzione bolscevica del 1917, l’eroico “assalto al cielo” condotto con successo un secolo fa dagli operai e contadini dell’ex impero zarista, diretti dal partito di Lenin?
Dove si cristallizza concretamente l’attualità politico-sociale e il significato odierno, vivo e contemporaneo della Rivoluzione d’Ottobre?
Si tratta di una domanda semplice che trova una risposta politico-teorica altrettanto chiara, anche se sgradita e indigesta per larga parte della sinistra antagonista italiana, affetta sia da una prolungata impotenza politica di tipo anarcoide che da un puerile eurocentrismo: l’erede principale dell’Ottobre Rosso, all’inizio del terzo millennio, è costituito dalla Cina prevalentemente socialista dei nostri giorni.
Si è ormai attuata proprio quella scissione epocale tra “Oriente avanzato” (avanzato sul piano politico-sociale, e ai nostri giorni anche in campo tecnologico-produttivo) e “Occidente arretrato” (arretrato e reazionario sul piano politico-sociale) che Lenin aveva previsto, in modo geniale e provocatorio, fin dal maggio 1913 in un suo splendido articolo dal titolo omonimo e pubblicato sulla Pravda, scritto che il cosiddetto marxismo occidentale, da Otto Bauer fino ad arrivare a Toni Negri e a Žižek, evita come la peste bubbonica.
Certo, la sedimentazione concreta che rimane ancora oggi della rivoluzione bolscevica si rivela e si mostra anche nella memoria collettiva favorevole rispetto ad essa che è emersa di recente all’interno dalla coscienza di milioni di operai, contadini e intellettuali di sinistra di tutto il mondo, a partire ovviamente dal gigantesco continente-Russia.
Sono altresì successori legittimi e in carne e ossa dell’Ottobre Rosso del 1917 anche tutti quei partiti comunisti – non parliamo ovviamente delle litigiose e ininfluenti sette e micro sette di matrice trotzkista, bordighista o consiliarista – che continuano a lottare e operare nel mondo capitalistico e nelle ipersfruttate periferie del cosiddetto Terzo Mondo, perseverando con orgoglio a rivendicare l’eredità leninista anche ai nostri giorni e nei difficili decenni di controffensiva imperialistica, sviluppatasi con forza dopo il deleterio crollo dell’Unione Sovietica e dal 1989 ad oggi.
Passando a un livello politico-sociale ancora superiore, sempre come continuatore dell’Ottobre Rosso del 1917 troviamo, poi, l’esperienza apertamente marxista, seppur di natura creativa e non-dogmatica, dei partiti comunisti di Cuba e del Vietnam, del Laos e della Repubblica Democratica Popolare di Corea: partiti per i quali, è appena il caso di dire, la teoria e la praxis politico-sociale del bolscevismo rimane tuttora una fonte diretta di ispirazione, seppur letta e decodificata senza paraocchi dogmatici e applicata creativamente alla realtà locale, nazionale.
Ma in ogni caso l’erede principale della rivoluzione d’Ottobre all’inizio del terzo millennio si trova in oriente e, più precisamente, nella Cina Popolare: ferma restando l’importanza e il valore concreto delle altre esperienze statali sopracitate, la Cina contemporanea gode, infatti, di una centralità politica a livello planetario per tutta una serie di ragioni indiscutibili e connesse tra loro.
Innanzitutto il numero attuale dei cinesi risulta pari a più di 1.400.000.000 e comprende quindi quasi un quinto dell’intero genere umano, mentre invece, ad esempio, lo splendido popolo del Laos, con i suoi gentili e coraggiosi esseri umani, raggiunge solo quota sei milioni di unità.
Altrettanto indiscutibile risulta il “fatto testardo” (Lenin) in base al quale l’estensione territoriale della Cina equivale a più di 9.500.000 di chilometri quadrati, quindi oltre trenta volte l’Italia, mentre il Laos prevalentemente socialista invece si estende su una superficie di 236.000 km²: la Cina rappresenta il terzo paese nel mondo, dopo Russia e Canada, in termini di superficie geografica.
Sul piano geopolitico la Cina Popolare risulta, inoltre, collocata quasi al centro del gigantesco continente asiatico e confina, o risulta molto vicina a nazioni importanti quali la Russia, l’India e il Giappone, il Pakistan e l’Afghanistan, il Vietnam e la penisola coreana, oltre alle grandi estensioni della Mongolia e del Kazakistan.
La Cina prevalentemente socialista dall’inizio del terzo millennio è altresì ben posizionata, ormai da più di due decenni, all’interno della decisiva zona geoeconomica dell’Oceano Pacifico: un’area enorme e una rete proteiforme di interrelazioni produttive, commerciali e politiche che ormai rappresenta il “numero uno” a livello mondiale, come del resto aveva previsto in modo geniale Karl Marx fin dal 1850, nel suo splendido scritto intitolato “Spostamento del centro di gravità mondiale”.
Rimanendo sempre nel settore dei “numero uno” globali, la Cina Popolare è diventata, come minimo fin dal 2014, la prima potenza economica del mondo in termini di prodotto nazionale lordo – a parità di potere d’acquisto – persino secondo le valutazioni della Banca Mondiale a guida occidentale e, stando anche alle stime più prudenti, rappresenta sicuramente la terza potenza militare del nostro pianeta.
In che senso tale gigantesco potenziale materiale e umano, tale snodo enorme di accumulazione di potenza multilaterale costituisce l’erede politico principale del leninismo e della Rivoluzione d’Ottobre?
La prima risposta risulta di matrice politica e viene costituita dal semplice “fatto testardo” (Lenin) per cui, come in Russia dalla fine del 1917, l’egemonia nel controllo del potere statale e della gestione degli affari comuni della società viene esercitata tuttora dal partito comunista cinese: un partito comunista che risulta fiero di definirsi tale, presentandosi apertamente di fronte a tutto il mondo come marxista, oltre che basato sul materialismo dialettico in campo filosofico.
Tra i tanti esempi concreti disponibili va sottolineato come nell’ottobre del 2016 il compagno Xi Jinping, attuale segretario del partito comunista cinese, abbia dichiarato pubblicamente che “gli ideali e le cause per cui noi comunisti abbiamo combattuto” a partire dal 1921, “non sono cambiati”, mentre celebrava davanti ai mass-media e a centinaia di milioni di cinesi l’eroica “Lunga Marcia” maoista del 1935-1936.
Parole molto chiare, che vanno collegate a una seria pratica leninista tesa al controllo dei gangli fondamentali del potere politico ed economico rifiutando le pavide e anarcoidi pseudo teorizzazioni, ancora tanto diffuse nella sinistra antagonista occidentale, rispetto al “rifiuto di prendere il potere” e alla necessità di un “contropotere permanente rispetto alla borghesia”: ossia le concezioni infantili di intellettuali come Holloway, Žižek e Negri, incapaci persino di amministrare un condomino o anche solo pensare di amministrarlo.
Fondato nel luglio del 1921, quando Lenin svolgeva anche il suo ruolo di leader della Terza Internazionale, oltre che uno dei pochi partiti comunisti che opera senza soluzione di continuità politico-organizzativa da un secolo, il partito comunista cinese rivendica invece apertamente la realpolitik rivoluzionaria e l’eredità politica di Lenin, forte delle lezioni impartite da una storia ormai pluridecennale.
In seconda battuta la Cina dell’inizio del terzo millennio rivela una matrice socioproduttiva prevalentemente socialista e di tipo statale/cooperativo/municipale, come del resto avvenne in forme diverse anche nelle zone urbane della Russia post-rivoluzionaria durante il periodo compreso tra il novembre del 1917 (nazionalizzazione delle banche e della proprietà della terra, ecc.) e il 1928.
Persino la rivista statunitense “Fortune”, anticomunista e anticinese, in un suo rapporto sulle principali 500 aziende su scala mondiale pubblicato nell’estate del 2016, ha rivelato che tutte le prime undici imprese cinesi all’interno di tale “Top 500” planetaria erano, completamente o in larga parte, di proprietà pubblica: a partire dalla formidabile società cinese State Grid, seconda nella classifica mondiale Fortune con un fatturato pari a ben 329 miliardi di dollari, ossia un sesto del prodotto interno lordo italiano.
Il totale del fatturato del 2015 delle prime undici aziende cinesi, tutte di proprietà pubbliche (completamente o in gran parte), è risultato pari a 1.944 miliardi di dollari: ossia il 20 percento e un quinto del prodotto interno lordo cinese dello stesso anno.
Circa un quinto del PIL cinese del 2015 risultava, quindi, di proprietà statale e veniva generato da sole undici gigantesche aziende cinesi, da solo undici colossi di proprietà pubblica, con un fatturato pari al PIL italiano.
La Cina contemporanea ha preso il “testimone” politico lasciato dai bolscevichi russi anche nel campo dello sviluppo qualitativo delle forze produttive, settore strategico per il quale il geniale Lenin sostenne, a ragion veduta e fin dal giugno 1919, pubblicando l’articolo intitolato “La grande iniziativa”, che “la produttività del lavoro è in ultima analisi la cosa più importante, essenziale per la vittoria del nuovo ordine sociale. Il capitalismo può essere battuto definitivamente e sarà battuto definitivamente appunto perché il socialismo crea una nuova produttività del lavoro molto più alta”.
Se dal 1919 passiamo al 2021, proprio negli ultimi anni e smentendo molti profeti di sventura, anche di “estrema sinistra”, la Cina prevalentemente socialista ha raggiunto il primato mondiale in settori scientifico-tecnologici decisivi quali:
• i supercomputer;
• le comunicazioni quantistiche;
• il settore spaziale;
• le nanotecnologie;
• l’intelligenza artificiale;
• la produzione e utilizzo di robot;
• treni ad alta velocità (hyperloop, ecc.);
• le tecnologie per le energie rinnovabili (solare, eolica, ecc.).
Ormai, il secolare primato occidentale nell’alta tecnologia e nei settori scientifici all’avanguardia è entrato in crisi irreversibile, mentre si sta ormai consolidando un nuovo centro di gravità planetario all’interno di questo segmento decisivo per le sorti del genere umano.
Un ulteriore elemento di continuità teorica e pratica con la Rivoluzione d’Ottobre è rappresentato dalla particolare NEP cinese, introdotta in modo creativo in Cina a partire dal 1978 e proseguita fino ai nostri giorni, seguendo in buona parte l’importante modello socioproduttivo della Nuova Politica Economica già abbozzata nel marzo-aprile del 1918 e, in seguito, elaborata e messa in pratica da Lenin e dal partito bolscevico a partire dal marzo del 1921.
Come ha notato correttamente Fosco Giannini, dopo la vittoria dei bolscevichi nella durissima guerra civile del 1918-20 l’enorme massa dei contadini russi “non accettò più i sacrifici imposti dal comunismo di guerra” e Lenin si fece carico, più di ogni altro dirigente, della contraddizione sociale in atto, che lo portò a ragionare sull’esigenza dell’alleanza contadini-operai. Un’alleanza che Lenin, all’inizio, tentò di saldare attraverso un’innovazione politico-teorica: lo scambio di prodotti (baratto di merci) tra contadini e operai, tra grano e beni industriali. Non sarebbe stata la soluzione, ma l’indicazione di marcia da parte di Lenin, già potente, antidogmatica, una premessa della stessa NEP.
Quale corredo politico-teorico lascia la breve esperienza della NEP leninista? Lascia, innanzitutto, una riflessione, da parte di Lenin, profonda e proficua, un vero e proprio apparato teorico (accantonato) a sostegno del “socialismo attraverso un’economia di mercato”.
Lenin mette a fuoco la concezione dell’“uklad”, una struttura socialista, una produzione economica socialista, in grado di svilupparsi proprio in virtù della competizione con le strutture neocapitalistiche interne al socialismo. Una visione, questa di Lenin, addirittura preveggente, rispetto alla futura stagnazione sovietica brezneviana e in accordo con lo stesso, odierno, tipo di sviluppo e proficua competizione stato-mercato del “socialismo con caratteri cinesi”; oltre ciò, Lenin affronta il problema dell’entrata dell’economia di mercato (e persino del capitale straniero) nel socialismo in termini nuovi, sottolineando gli aspetti positivi, per ciò che riguardava e riguarda il necessario sviluppo generale delle forze produttive, di queste incursioni capitalistiche.
In modo abbastanza simile alla Russia sovietica del 1921-28, anche all’interno dei rapporti sociali di produzione cinesi dal 1978 fino ai nostri giorni si è riprodotto costantemente un particolare effetto di sdoppiamento di gigantesca portata storica, in base al quale un egemone e prioritario settore produttivo di matrice collettivistica da più di quattro decenni interagisce e coesiste conflittualmente con una larga, ma subordinata e minoritaria area di tipo capitalistico, endogeno o di proprietà delle multinazionali straniere.
Pertanto, le coordinate generali, allo stesso tempo teoriche e pratiche, tracciate sulla NEP in modo lungimirante da Lenin nel 1921, si ritrovano e sono state ricreate in modo creativo anche nella Cina contemporanea, come del resto vale anche per la vitale soluzione del rapporto dialettico esistente tra pianificazione – ben presente e tuttora ben funzionante all’interno del gigantesco paese asiatico – e mercato. Basta solo ricordare come lo stesso Lenin, capace di elaborare le linee-guida della NEP e delle relazioni mercantili nella Russia sovietica, avesse altresì introdotto simultaneamente sia il GOELRO, cioè l’Istituto di Pianificazione sovietico, sia il piano per l’elettrificazione della futura Unione Sovietica: ossia il comunismo inteso come “potere sovietico più elettrificazione”, come descrisse del resto in un loro colloquio avvenuto alla fine del 1920 a uno stupefatto scrittore di fantascienza come Herbert G. Wells.
Quinto anello di continuità tra l’esperienza bolscevica e la Cina contemporanea: la capacità di compiere, seppur con gravi errori e profonde autocritiche, imprese straordinarie e “miracoli” laici, imprevisti e inaspettati per gran parte degli osservatori del resto del mondo.
La politica non venne certo concepita dai comunisti sovietici e cinesi principalmente come arte del possibile, ma invece innanzitutto come prometeica e liberatoria scienza della trasformazione dell’impossibile (nel passato) nel possibile (nel presente) e nella realtà concreta del domani, di un futuro a volte molto ravvicinato.
Lenin e il partito bolscevico, con il supporto politico indispensabile dell’avanguardia degli operai e contadini russi, riuscirono infatti a realizzare l’eccezionale “triplice impresa” di sconfiggere la borghesia russa e internazionale nell’Ottobre Rosso del 1917, di vincere contro quasi tutti i pronostici la tremenda guerra civile del 1918-20 (in cui i “Bianchi” e le forze controrivoluzionarie erano foraggiate, armate e sostenute direttamente dall’imperialismo occidentale) e, infine, di risollevare in pochi anni l’area dell’ex-impero zarista da una situazione ormai divenuta, dopo la fine della lotta armata, disastrosa sia sul piano politico (sommossa di Kronstadt del 1921, ribellioni contadine nello stesso anno, ecc.) che economico: fame e cannibalismo nella Russia del 1921, distruzione quasi totale dell’industria nazionale, ecc.
Il partito comunista cinese, dal 1921 fino ad arrivare ai nostri giorni, è riuscito a sua volta a compiere un suo particolare “triplice miracolo”, laico e materialista, seppur commettendo a volte gravi errori politici e mettendo in campo una quasi costante pratica collettiva di autocritica. Il “triplice miracolo” si è via via manifestato nella sua vittoria epocale durante la guerra civile prolungata (e la resistenza all’imperialismo giapponese) del 1926-49; nella capacità di risolvere plurisecolari problemi della Cina quali la denutrizione, l’analfabetismo e l’assenza di protezione sociale (periodo 1949-76) e, infine, nel quarantennale decollo produttivo, tecnologico e sociale innescato dall’introduzione della NEP cinese a partire dal 1978, grazie allo stimolo e capacità pratica di progettazione del geniale Deng Xiaoping.
Un miracolo laico concretissimo che ha rivelato i suoi frutti positivi anche nella concretissima triplicazione (triplicazione…) dei salari degli operai e delle tute blu cinesi negli anni compresi tra il 2005 e il 2016, come ha ammesso l’insospettabile istituto Euromonitor a inizio 2017, oltre che nel fatto testardo – ammesso persino dall’insospettabile banca elvetica Credit Suisse e già nel 2013 – per cui il salario medio dei trentenni cinesi ormai supera quello dei trentenni italiani.
Niente male, per un paese e una nazione nella quale per le strade di Shanghai prima del 1949 morivano di fame e malattie facilmente curabili migliaia di proletari e di disoccupati, nell’indifferenza generale del mondo “civilizzato” e dell’avida borghesia cinese.
Anche in campo internazionale troviamo del resto delle sorprese politiche che fanno riferimento alla prospettiva universale di Lenin e dei bolscevichi, dato che si sta ormai materializzando ai nostri giorni una raffinata strategia su scala mondiale di lungo periodo, elaborata con cura dal partito comunista cinese: una visione globale di natura logistico-produttiva, pacifica e cooperativa che sarebbe piaciuta moltissimo al Lenin del “Decreto sulla pace” del 1917 e del trattato di Rapallo del 1922 tra Germania e Russia sovietica, oltre che un progetto cinese che già ora sta cambiando in modo graduale ma sensibile i vecchi rapporti di forza internazionali, geopolitici e geoeconomici.
L’obiettivo centrale per i prossimi anni di questa strategia è rappresentato dalla “Grande Eurasia”, mentre i suoi mezzi principali si cristallizzano nell’alleanza con la Russia e nelle nuove “Vie della Seta” che stanno sorgendo da Shanghai a Madrid/Londra: anche un intelligente studioso americano come Alfred McCoy ha rilevato già nel 2015 che “la Cina si sta affermando in modo profondo” in Eurasia e che per modificare la struttura geopolitica mondiale “sta usando un fine strategico, che fino a questo momento ha eluso la comprensione da parte delle élite al potere in Usa”.
“Il primo passo è consistito in un sensazionale progetto di creazione di una infrastruttura che assicuri l’integrazione economica del continente. Stendendo un’elaborata e complessa rete di ferrovie ad alto volume e ad alta velocità, come anche gasdotti e oleodotti, nelle vaste distese Eurasiatiche, la Cina potrebbe rendere realtà l’intuizione di Mackinder in un modo imprevisto. Per la prima volta nella storia il rapido movimento transcontinentale di carichi di materie prime fondamentali, petrolio, minerali, prodotti, sarà possibile su una scala prima impensabile, unificando così potenzialmente la grandissima estensione di terre in questione in un’unica zona economica, che si estende per 6500 miglia da Shanghai a Madrid. In tal modo la leadership di Pechino spera di spostare il baricentro del potere geopolitico via dalla periferia marittima e fin dentro l’Heartland continentale” (Alfred McCoy, “Il gran gioco di Washington e perché sta fallendo”), attraverso l’applicazione creativa della dialettica materialistica al processo di sviluppo delle relazioni internazionali.
Anche nel settore geopolitico e geoeconomico mondiale la Cina si sta dunque mostrando come l’erede principale della Rivoluzione d’Ottobre: del resto il geniale e antieurocentrico Lenin aveva previsto nel 1923, in uno dei suoi ultimi scritti intitolato “Meglio meno, ma meglio”, che “l’esito della lotta” (tra socialismo e imperialismo) “dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l’India, la Cina, ecc. costituiscano l’enorme maggioranza della popolazione” del pianeta.
“Un’enorme maggioranza della popolazione” (Lenin) che ormai da tempo sta iniziando, in modo pacifico ad auto-organizzarsi, seppur tra molte contraddizioni e difficoltà, in buona parte dell’Eurasia, spezzando la strategia globale dell’imperialismo statunitense e la sua spietata “grande scacchiera”, esposta fin dal 1997 da Z. Brzezinski, il cui centro di gravità era ed è tuttora costituito dal controllo da parte di Washington del continente euroasiatico.
In conclusione, non si può che concordare con il marxista cinese Cheng Enfu quando quest’ultimo, sulle pagine dell’autorevole rivista cinese “International Critical Thought”, ha evidenziato in modo esplicito come il progetto globale della Nuova Via della Seta non è solo un piano infrastrutturale – come scorgiamo nitidamente anche in Occidente – ma “assume il volto di una iniziativa di edificazione globale del socialismo con caratteristiche cinesi” e quindi una planetaria operazione di soft-power con la quale “i comunisti cinesi contribuiscono al rafforzamento e allo sviluppo del movimento comunista a livello internazionale”.
Mentre la Cina progetta e agisce concretamente: quando la “raffinata” e (una volta) avanzata sinistra occidentale riuscirà a sua volta a dare finalmente segnali concreti di vitalità, dopo il “lungo sonno” del 1989-2020?
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