MATERIALISMO STORICO E MATERIALISMO DIALETTICO
IL TESTO CHE SEGUE È LA RELAZIONE SCRITTA DEL VIDEO ED È SCARICABILE IN FORMATO PDF QUI
Il testo che segue è la relazione tenuta dal sottoscritto Alessandro Pascale, responsabile nazionale Formazione del Partito Comunista, nell’ambito della scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci. La presentazione è stata fatta a Milano il 3 marzo 2023 presso i locali della cooperativa La Liberazione di Milano. È disponibile la registrazione video caricata sulla pagina youtube del Partito Comunista Milano (@pcmilano).1
La lotta di classe non si gioca su ricette prestabilite, né su sentieri tracciati una volta e per sempre. Bisogna però sapere, per dirla con le parole del filosofo Georges Politzer, che la lotta di classe comprende:
«a) una lotta economica; b) una lotta politica; c) una lotta ideologica.
Occorre quindi che il problema sia posto simultaneamente in questi tre campi. […] Sarà quindi colui che riuscirà a lottare su tutti questi terreni che fornirà la guida migliore al movimento. È cosi che un marxista comprende il problema della lotta di classe».
Tutti i grandi maestri del socialismo sono stati anche filosofi. Non stupisce insomma che tuttora gli Stati borghesi non la lascino insegnare solo nei licei, in ossequio al modello gentiliano per cui la filosofia debba essere studiata solo dai futuri gruppi dirigenti borghesi, mentre invece alle classi lavoratrici basta una spolverata di teologia. Alla borghesia serve un popolo di analfabeti disfunzionali, non certo un esercito di lavoratori coscienti dei propri diritti e della propria condizione di lavoratori salariati soggetti ad un ordine padronale. Nel controllo ideologico delle masse sta una delle armi più potenti dell’egemonia culturale dell’imperialismo, che passa dalla conquista degli intellettuali. Di qui la necessità di tornare a studiare la filosofia.
LA NECESSITÀ DI TORNARE A STUDIARE LA FILOSOFIA
«Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi intellettuali […]. L’emancipazione pratica […] non è possibile se non nell’ambito di quella teoria che proclama l’uomo la più alta essenza dell’uomo. […] non si può abolire nessuna specie di servitù senza abolire tutta la servitù. […] La filosofia è la testa di tale emancipazione, il proletariato ne è il cuore. La filosofia non può realizzarsi senza l’eliminazione del proletariato, il proletariato non può eliminarsi senza la realizzazione della filosofia». (Karl Marx, da Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)
«Dobbiamo comprendere che in mancanza di una base filosofica solida non vi sono scienze naturali né materialismo che possano resistere all’invadenza delle idee borghesi e alla rinascita della concezione borghese del mondo. Per sostenere questa lotta e condurla a buon fine lo studioso di scienze naturali deve essere un materialista moderno, un sostenitore cosciente del materialismo rappresentato da Marx, vale a dire che deve essere un materialista dialettico. Per raggiungere questo obiettivo i collaboratori […] debbono organizzare uno studio sistematico della dialettica di Hegel dal punto di vista materialista, vale a dire della dialettica che Marx ha applicato praticamente nel suo Capitale e nei suoi scritti storici e politici». (Vladimir Lenin, Il significato del materialismo militante, Pod Znamenem Marksizma, n. 3, 12 marzo 1922)
La battaglia filosofica non è appariscente e non fa rumore a livello mediatico, ma si svolge silenziosamente per lo più nelle università, nelle scuole, sulle riviste e nelle scelte editoriali con cui si decide quali libri stampare e come organizzare i manuali scolastici di vario tipo. Eppure è una lotta fondamentale, con cui si combatte per la conquista delle menti e la capacità di incidere nella società. Il materialismo dialettico oggi in Occidente è stato ridotto ad una burla, ad uno scherzo ossificato, rigido, dogmatico; i professori più progressisti lo ritengono una creatura riconducibile alle rigidità di Engels o alla schizofrenia di Stalin di contro ai progressi molto più stimolanti del materialismo storico marxiano e degli sviluppi del marxismo occidentale. Quasi nessuno però conosce davvero il materialismo dialettico. In parte perché non lo si insegna nei programmi scolastici (neanche in quelli universitari), in parte perché è stato espunto dalla stessa cultura comunista nell’ambito della “destalinizzazione”. Occorrere quindi tornare a leggere e studiare le opere più filosofiche di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao, ma anche ottime introduzioni e compendi come i Principi elementari di filosofia di G. Politzer o La filosofia marxista-leninista di A. Sceptulin. La nostra comunità ha la fortuna di avere a disposizione due ottimi lavori curati direttamente dal nostro Segretario Alberto Lombardo: mi riferisco ai testi Karl Marx, 200 anni e Engels 200 – Lenin 150. Appunti per lo studio del materialismo dialettico.
CHE COS’È LA FILOSOFIA?
La filosofia rappresenta l’insieme delle idee sul mondo, non si occupa di un campo particolare della realtà né di un settore particolare del mondo, ma studia il mondo nel suo insieme, con il compito di fornire un’interpretazione unica di tutti i processi. Insomma la filosofia è una concezione del mondo ed è caratterizzata dal tentativo di inquadrare e interpretare la totalità dell’esistente, e non solo una sua parte come fanno altre singole discipline (es. economia, diritto, ecc.). Per fare questo la filosofia deve anzitutto assolvere anche una funzione metodologica, elaborando un metodo generale della conoscenza. In quanto concezione del mondo, la filosofia ha il compito di aiutare l’uomo ad orientarsi nella sua vita, nella sua attività quotidiana, e nel momento in cui diventa un elemento condiviso da più esseri umani, assume una funzione politica di guida e indirizzo dell’agire. Questa definizione di filosofia, molto ampia, fa sì che tutti siano filosofi, perché tutti hanno una pur rudimentale concezione del mondo. Questo spiega perché secondo Gramsci tutti quanti gli esseri umani siano intellettuali. In realtà molte concezioni del mondo non sono considerate vere filosofie, se si tiene conto di una definizione più ristretta: la filosofia è una “libera indagine critica razionale”. La maggior parte delle concezioni del mondo odierne non sono né libere, né caratterizzate da una ricerca continua, né tantomeno critiche nei confronti dell’esistente, e non seguono necessariamente sempre una razionalità scientifica. Per qualcuno quindi non sono filosofie. Per noi marxisti sono teorie filosofiche inadeguate, arretrate, ideologie che contribuiscono a mantenere il popolo in uno stato di asservimento.
IL QUESITO SUPREMO DELLA FILOSOFIA: MATERIALISMO O IDEALISMO
La filosofia studia il rapporto tra la materia e la coscienza, tra la natura e lo spirito, stabilisce quale di essi è il primo dato e quale è il secondo dato derivato. Quello del rapporto tra la materia e la coscienza è il quesito supremo della filosofia. Il modo in cui tale questione viene risolta, predetermina questa o quella visione di tutti gli altri problemi filosofici. I filosofi si dividono in due grandi campi – materialisti e idealisti – a seconda di come risolvono il problema del rapporto tra materia e coscienza. I materialisti affermano la priorità della materia rispetto alla coscienza, essi ritengono che la prima sia alla base di tutto ciò che esiste. La coscienza, invece, è il secondo dato e si presenta come una proprietà della materia, proprietà che si manifesta in determinate condizioni.
A differenza dei materialisti, gli idealisti affermano la priorità dello spirito: la coscienza, il pensiero, le idee, Dio. Secondo loro, la materia è un prodotto dello spirito, della coscienza, di un ente divino immateriale e si presenta come una forma di esistenza di quest’ultimo.
È bene ricordare che la filosofia esercita un influsso sostanziale sulla vita umana: il comportamento degli uomini, i princìpi ai quali essi si ispirano nella loro attività pratica, dipendono in misura notevole dalle loro concezioni generali, dalle idee filosofiche fatte proprie dalla loro coscienza. La divergenza tra materialismo e idealismo ha quindi ricadute molto pratiche: gli idealisti nella loro vita privata tendono ad attribuire grande importanza a dio o ad altre forze soprannaturali. Essi possono quindi essere portati a fare affidamento più sulla speranza nella provvidenza e sulla fede piuttosto che sulla ragione e la conoscenza delle leggi che regolano la realtà.
LE RADICI SOCIALI, POLITICHE E GNOSEOLOGICHE DELL’IDEALISMO
Il senso comune popolare, compresa la ragione scientifica, tende istintivamente ad essere materialista, ma è bene sapere che per più di 2000 anni la storia della filosofia è stata dominata da una schiacciante prevalenza di concezioni idealistiche. Come mai?
Le cause della comparsa di concezioni idealistiche sono molteplici: sociali, politiche e gnoseologiche
Le radici sociali dell’idealismo sono prima di tutto la separazione del lavoro intellettuale da quello fisico e il sorgere di una specie di opposizione tra di loro. Chi fa un lavoro intellettuale tende istintivamente a dare più importanza e priorità alle idee, piuttosto che alla materialità di azioni concrete, come può fare un operaio. In questo senso la divisione classista tra lavoro manuale e intellettuale spinge naturalmente gli uomini (operai e colletti bianchi) a vedere in maniera diversa la realtà.
Tra le radici politiche dell’idealismo sta l’interesse delle classi sfruttatrici a diffondere delle giustificazioni teoriche colte della religione, le quali hanno storicamente favorito l’asservimento spirituale dei lavoratori, distogliendo questi ultimi dalla lotta per cambiare lo stato di cose esistente, principalmente attraverso l’invenzione dell’idea di un al di là in cui pagare in eterno le colpe di una ribellione praticata nell’al di qua.
Le radici gnoseologiche (derivanti cioè dal modo in cui noi conosciamo le cose) sono le più complesse: ogni individuo conosce attraverso le proprie sensazioni soggettive; ciò può portarlo a ritenere che queste sensazioni non provengano da un ente a lui esterno, ma sia lui stesso a crearle. L’individuo conoscente può così degenerare dal sensismo ad un radicale soggettivismo concependo che il mondo esiste solo in relazione a se stesso. Ne consegue un esasperato individualismo che ci fa perdere la capacità di avere un quadro d’insieme della realtà facendoci dimenticare che esiste un mondo attorno a noi, oppure che se esiste, esso non ha alcuna importanza. Attraverso vari passaggi questo percorso ha portato la filosofia contemporanea, da Hume in poi, passando per autori come Schopenhauer, Nietzsche e Popper, all’attuale trionfo del post-moderno, che ha proclamato la fine di tutte le ideologie con le conseguenti affermazioni assurde, entrate però nel senso comune, per cui non esiste la Verità ma esistono tante verità quanti gli individui. Il che si traduce, dal punto di vista politico, nello screditamento di ogni grande ideologia filosofica materialista che pretende di spiegare tutta la realtà. Di qui il rigetto diffuso del marxismo.
IL METODO METAFISICO
Strettamente collegato a quanto detto pocanzi è la tendenza istintiva e naturale che abbiamo di adottare un metodo inadeguato di conoscenza.
Venendo a conoscere la realtà che li circonda, gli uomini mettono in luce le proprietà comuni delle cose e dei fenomeni con i quali essi hanno a che fare. Si formano così dapprima le immagini generali e poi i concetti, le idee, di tali proprietà. Le immagini e i concetti così formatisi si trasmettono di generazione in generazione, mentre le cose riflesse in tali concetti cambiano ininterrottamente. L’idea della mela si trasmette di uomo in uomo, ma la mela originaria da cui è nato il concetto, è nel frattempo marcita. Si crea così l’impressione sbagliata che i concetti siano qualcosa di stabile, immutabile, eterno, capace di sopravvivere anche senza le cose, degradate ad una realtà di serie B, in quanto qualcosa di mutevole, transitorio e temporaneo. Questa tendenza gnoseologica in ambito filosofico viene etichettata da noi marxisti come “metodo metafisico”: secondo tale metodo le cose e i fenomeni della natura sono concepiti nel loro isolamento, al di fuori del loro contesto, sono privi di contraddizioni e di sviluppo, eternamente nel medesimo stato qualitativo, sono, cioè, immutabili. Se si pone esageratamente l’accento sulla stabilità dei concetti, privandoli del legame con le cose del mondo esterno e trasformandoli in qualcosa di autonomo che sta all’origine delle cose, allora si finisce nell’idealismo. L’essere umano non è portato naturalmente alla complessità e tende istintivamente, per comodità, ad adottare un metodo metafisico, concependo le cose e i fenomeni della natura al di fuori della loro interconnessione e interdipendenza, al di fuori del loro movimento e del loro sviluppo. Mantenendo i più un metodo metafisico, tendono anche ad essere estremamente conservatori filosoficamente, mantenendo cioè il più a lungo possibile le idee e i punti di vista rimasti impressi nel corso della propria esistenza. Se avranno ricevuto una filosofia conservatrice politicamente, tenderanno quindi a diventare conservatori politicamente.
Un esempio forte della logica metafisica è il principio di identità A=A. Esso è valido nella logica formale, ma non esiste in natura nessun ente che sia uguale a se stesso se non nel medesimo istante. Ogni ente infatti è soggetto a continua trasformazione ed è diverso da sé ogni secondo che passa, per cui in natura esiste solo una continua trasformazione da A a A’, A”, A”’ e così via.
IL METODO DIALETTICO, LA SCIENZA E L’IMPOSSIBILE TEORIA APOLITICA
Noi sappiamo in realtà che tutto ciò che esiste in natura è soggetto a nascita e morte, quindi è soggetto a mutamento continuo. Ne sono semplici esempi le stesse strutture molecolari e atomiche: quando osserviamo superficialmente una pianta la vediamo immobile, ma in realtà se avessimo un microscopio atomico vedremmo che all’interno di ogni sua cellula, e in ogni stesso atomo, c’è un movimento continuo della materia, che sul lungo termine porta a cambiamenti esteriori della stessa pianta. Nella misura in cui le scienze naturali cominciarono a passare dallo studio delle cose e delle loro proprietà allo studio dei processi che si svolgono in esse, cominciarono ad elaborarsi i princìpi del metodo dialettico della conoscenza. Tale metodo parte dalla considerazione che nella realtà tutti i fenomeni sono in interconnessione e interdipendenza organica, che tutti i fenomeni sono internamente contraddittori e, in seguito alla lotta degli opposti ad essi propri, cambiano continuamente. Prima ancora che dagli scienziati, l’elaborazione del metodo dialettico della conoscenza è il grande merito di Hegel, che ha anticipato filosoficamente un paradigma che poi è diventato dominante in campo scientifico.
Prima di approfondirlo si può a questo punto prescrivere il corretto rapporto tra la filosofia e scienze concrete. La migliore teoria filosofica è quella che non rimane sul piano astratto e teorico, che non si stacca cioè dal campo dell’esperienza, e quindi dalle scoperte delle scienze concrete, ma parte da queste ultime. La migliore teoria filosofica attinge quindi il suo contenuto dai dati scientifici e può svilupparsi con successo solo sulla base della loro generalizzazione. A loro volta, le scienze concrete sono anch’esse legate indissolubilmente alla filosofia per riuscire a dare teorie e spiegazioni generali e universali adeguate ai dati raccolti.
Occorre a questo punto però ricordare una cosa molto importante, ossia il carattere di parte di ogni filosofia (e quindi anche di ogni teoria scientifica): in una società divisa in classi ogni teoria ha sempre carattere di parte. Elaborando una concezione sul mondo nel suo insieme, ogni filosofia si pone, coscientemente o meno, in accordo o contrasto con la società del proprio tempo, difendendo gli interessi di una certa classe o gruppo sociale. Spesso gli studenti e i docenti di filosofia non considerano questo aspetto basilare. Per questo sarebbe necessaria la messa a punto di un manuale critico che tracci una storia della filosofia secondo un punto di vista materialista dialettico. Il modello migliore per realizzare un simile progetto è stato offerto da La distruzione della ragione di Lukàcs, il quale si “limita” però ad analizzare la filosofia tedesca del XIX secolo e parte di quella del XX secolo. Oggi servirebbe un’opera ampia che sia in grado di fungere da riferimento per studenti e insegnanti nell’acquisizione di un punto di vista alternativo sulla storia della filosofia e sugli autori insegnati. Oltre alla nota storia della filosofia del compagno Ludovico Geymonat, in anni recenti sono stati fatti alcuni tentativi pregevoli ad esempio da Costanzo Preve e in tempi più recenti il misconosciuto Pitagora, Marx e i filosofi rossi realizzato da Roberto Sidoli, Daniele Burgio e Massimo Leoni e disponibile gratuitamente sul web2. L’impressione è però che su questo fronte molto lavoro debba ancora essere svolto al fine di far emergere pienamente la natura di classe reazionaria di svariati filosofi entrati nel senso comune e diventati spesso punti di riferimento di molti intellettuali di sinistra.
Il discorso fatto vale anche per le scienze. La pandemia covid ha mostrato a grandi masse quanto segnalato da una serie di epistemologi (filosofi della scienza) già da oltre mezzo secolo, e cioè che anche le teorie scientifiche, anche il modo stesso di costruire e interpretare i dati, sono eventi carichi di teoria e quindi non oggettivi: non sempre dei fatti tecnici e neutrali quindi, ma atti soggetti a possibili condizionamenti politici. Di tutto ciò c’era già consapevolezza ai tempi dell’Unione Sovietica, anche se in quel caso possiamo dire che il rapporto tra filosofia e scienze concrete è stato in alcuni momenti eccessivamente sbilanciato a favore della filosofia, che ha preteso indebitamente di bollare come accettabili o meno certe dottrine scientifiche. Ricordiamo cosa ci ha detto in tal senso Engels: «per me non poteva trattarsi di costruire le leggi dialettiche introducendole nella natura, ma di rintracciarle in essa e di svilupparle da essa». Ricordiamo anche come sia Lenin stesso a ricordare la natura antidogmatica del marxismo:
«La nostra dottrina non è un dogma, ma una guida per l’azione, hanno sempre sostenuto Marx ed Engels, burlandosi a ragione delle “formule” imparate a memoria e ripetute meccanicamente, le quali, nel migliore dei casi, possono tutt’al più indicare i compiti generali che vengono di necessità modificati dalla situazione economica e politica concreta di ciascuna fase particolare del processo storico».
LA DIALETTICA IDEALISTA DI HEGEL
Fatte tutte queste premesse, possiamo a questo punto indicare le tappe storiche salienti che hanno condotto Marx a partorire la concezione della dialettica materialistica. Occorre partire dal primo ‘800: fino agli anni ’30 il paradigma filosofico dominante è quello di Hegel, sicuramente uno dei più grandi filosofi della storia, di cui anche Marx ed Engels non mancano di subire il fascino assimilandone alcune categorie, seppur opportunamente modificate. Non è qui possibile presentare in profondità il pensiero di Hegel, anche se è opportuno sapere che molti studiosi ritengono che senza la sua comprensione filosofica non vi possa essere profonda comprensione di Marx e del marxismo. Lo stesso Lenin ha dedicato molto tempo e alcuni quaderni di appunti a studiare la storia della filosofia, ed in particolar modo la logica di Hegel, e dedicherà più di 6 mesi alla preparazione del libro Materialismo ed empiriocriticismo (pubblicato nel 1909). Cerchiamo di inquadrare rapidamente ed in maniera molto scolastica ed essenziale quantomeno alcuni temi essenziali del sistema hegeliano, le cui tesi fondamentali sono tre:
1) la prima è l’affermazione di un sistema idealista che afferma il primato dell’infinito: la realtà non è un insieme di sostanze autonome ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione. La realtà è quindi espressione finita dell’Assoluto, un principio spirituale infinito. Il finito quindi non esiste se non come manifestazione dell’Infinito. La differenza con il Dio del cristianesimo o dell’islam è che questo Assoluto non è trascendente, non è cioè separato dalla nostra realtà materiale e concreta, ma è immanente, intrinseco ad essa, e ha la caratteristica di essere un processo spirituale in divenire che tende dinamicamente verso una condizione di sempre maggiore perfezione e razionalità.
2) Questo Assoluto Hegel lo identifica con la Ragione, sostenendo che ci sia sempre un’identità di razionalità e realtà: ciò che esiste è il dispiegarsi di una struttura razionale e la razionalità stessa è ciò che effettivamente si realizza. La Ragione non è pura astrazione ma è la forma costituente e la legge ordinante di un mondo che procede nel proprio cambiamento verso una sempre più compiuta razionalità. La realtà è ordinata manifestazione della Ragione, che si realizza inconsapevolmente nella Natura, consapevolmente nell’uomo. Hegel spiega questo aspetto con una frase semplice: “ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”.
Compito della filosofia diventa non la critica del mondo ma la comprensione-giustificazione razionale di ciò che esiste, perché ciò che è reale è necessario. Dato però che la realtà è in costante mutamento, la filosofia arriva sempre in ritardo nella comprensione della realtà.
3) Il terzo aspetto caratteristico di questo sistema è il movimento che lo caratterizza, ossia la dialettica. La dialettica è il processo dinamico con cui si realizza la coincidenza di razionalità e realtà e si articola in tre momenti. Ogni evento della natura e ogni atto del pensiero si sviluppa ed evolve a partire da una tesi (posizione), per scontrarsi in un’antitesi (opposizione) e pervenire ad una sintesi superiore, la quale è a sua volta tesi di un nuovo processo triadico. Tutta la storia della natura e dell’uomo è un ripetersi di questa processualità dialettica. Mi sembra utile distinguere questi tre momenti del pensiero:
1) la tesi è il momento astratto o intellettuale: consiste nel concepire l’esistente sotto forma di una molteplicità di determinazioni statiche e separate le une dalle altre, cioè secondo un metodo metafisico; è il grado più basso della ragione, in cui il pensiero si ferma alle determinazioni rigide della realtà, limitandosi a considerarle nelle loro differenze reciproche e secondo i principi di identità e di non-contraddizione.
2) l’antitesi è il momento dialettico o negativo-razionale: consiste nel mostrare l’astrattezza, l’unilateralità, la staticità della determinazione precedente; ogni affermazione sottintende una negazione; per chiarire ciò che una cosa è bisogna chiarire ciò che essa non è; è necessario andare oltre il principio di identità e mettere in rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte;
3) la sintesi è il momento speculativo o positivo/razionale: consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che sono espressioni di una realtà più alta che li ri-comprende o sintetizza entrambi.
In breve: la dialettica applicata al pensiero umano consiste nell’affermazione di un concetto astratto, nella sua negazione dialettica e infine nell’unificazione di affermazione e negazione in una sintesi razionale; Hegel chiama quest’ultimo momento Aufhebunggggggfffffggg, alludendo al “togliere e insieme conservare” che è proprio della sintesi.
L’importanza di Hegel sta quindi soprattutto nell’abituarci a ragionare dialetticamente, a capire che la realtà è sempre carica di contraddizioni e a cercare in ogni affermazione o evento ciò che c’è di razionale, ma al contempo anche gli elementi più astratti e “intellettualistici”, e come tali quindi da superare in una sintesi più avanzata. Dato che la realtà è in continua trasformazione, anche le nostre conoscenze necessiteranno sempre di una continua revisione e aggiornamento. Ulteriori aspetti progressivi della sua opera sono l’aver posto la collettività come superiore all’individuo, e aver affermato la filosofia come una forma di sapere più avanzata rispetto alla religione. Il grande punto debole di Hegel è di essere rimasto un idealista, e quindi in linea generale che i cambiamenti dello spirito provochino i cambiamenti della materia, dando ad esempio un messaggio generale molto semplicistico: l’inventore ha un’idea, realizza la sua idea ed è questa idea materializzata che crea cambiamenti nella materia.
DESTRA E SINISTRA HEGELIANA
Hegel muore nel 1831. I suoi discepoli si dividono tra destra e sinistra hegeliane sulla base della diversa interpretazione di 2 tematiche: religione e politica.
La destra hegeliana esalta la religione che ci permette di conoscere lo Spirito. A livello politico batte sul tema dell’identità tra realtà-razionalità e mette in secondo piano la dialettica. Ciò conduce alla glorificazione e consacrazione filosofica dell’esistente e del potere costituito. La sinistra hegeliana insiste sull’inadeguatezza della religione a rappresentare la Ragione, e quindi sul primato della filosofia. A livello politico sostiene l’aspetto dialettico, ossia una concezione più dinamica e rivoluzionaria di una razionalità ancora da farsi in un mondo in continuo sviluppo. La filosofia non deve limitarsi a giustificare l’esistente ma criticarlo. Viene così ridimensionata la formula per cui tutto il reale è razionale: alla filosofia incombe il dovere di rendere razionale il reale e quindi di operare attivamente per questo scopo, il che significa mettere in discussione lo Stato e l’ordine politico esistente, in quanto dispotico e quindi non ancora pienamente razionale. Tra gli appartenenti della sinistra hegeliana troviamo non solo un giovane Karl Marx, ma anche Ludwig Feuerbach, che apporta un decisivo ribaltamento del sistema hegeliano.
IL MATERIALISMO ATEO DI FEUERBACH
Feuerbach ha il grande merito di aver affermato nell’ambito della filosofia contemporanea un sistema esplicitamente materialista e umanista, definendo il pensiero hegeliano una sorta di teologia “mascherata”. Feuerbach critica l’idealismo a partire dal suo modo di concepire il rapporto tra soggetto e predicato, tra concreto e astratto. Per il materialismo è l’essere il soggetto originario e il pensiero è solo il predicato (cioè l’effetto, il prodotto), non viceversa. L’idealismo invece fa del concreto un predicato dell’astratto (pensiero, Spirito, Dio, infinito, ecc.). Feuerbach prende posizione contro la concezione religiosa del mondo, dimostrando che dio è solo un prodotto della fantasia umana. Non è Dio (l’astratto) ad aver creato l’uomo (il concreto), ma l’uomo ad aver creato Dio, che è solo la proiezione illusoria, o l’oggettivazione fantastica, di alcune qualità umane (ragione, volontà, cuore). Il divino è quindi l’umano in generale, proiettato in un mitico aldilà e adorato come tale. La religione non è altro che un’antropologia capovolta. Feuerbach usa il termine alienazione per descrivere lo stato patologico dell’uomo che, scindendosi, proietta fuori di sé una potenza superiore alla quale si sottomette (dio). Questo processo di oggettivazione è inconsapevolemente autolesionista per l’uomo perché quanto più poniamo in dio, quanto più togliamo a noi stessi. L’ateismo diventa dovere morale e strada necessaria per una nuova filosofia umanista e naturalistica che ha il compito illuministico di guarire gli uomini.
Materialista nel campo delle scienze naturali, Feuerbach rimane purtroppo un idealista nella concezione della società, non concependo così utile l’azione politica. Il suo rimane un materialismo meccanico e astorico, che perde di vista l’aspetto progressivo dell’hegelismo: la dialettica.
CARATTERISTICHE E IMPORTANZA DEL MATERIALISMO DIALETTICO
Si può comprendere meglio a questo punto il senso dell’operazione realizzata da Marx ed Engels: aver preso il materialismo da Feuerbach e avergli innestato la dialettica di Hegel, superando entrambi e approdando alla filosofia più avanzata mai espressa dall’umanità. Come spiega Stalin,
«Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del partito marxista-leninista. Si chiama materialismo dialettico perché il suo modo di considerare i fenomeni della natura, il suo metodo per investigare e per conoscere i fenomeni della natura è dialettico, mentre la sua interpretazione, la sua concezione di questi fenomeni, la sua teoria, è materialistica. Il materialismo storico estende i princìpi del materialismo dialettico allo studio della vita sociale, li applica ai fenomeni della vita sociale, allo studio della società, allo studio della storia della società».
Chiariamo una cosa: dopo la destalinizzazione (1956), e in maniera ancor più forte dopo la caduta dell’URSS, il “marxismo occidentale” ha cercato di separare il materialismo storico dal materialismo dialettico, attribuendo il primo al Marx “economicista” e il secondo all’Engels filosofo, accusando quest’ultimo della costruzione inadeguata del “marxismo” che avrebbe condotto ai “crimini” sovietici. Questa vulgata è palesemente faziosa e falsa, non considerando il percorso filosofico di Marx ed Engels avvenuto nella fase giovanile degli anni ’40, come vedremo. Prima presentiamo alcune caratteristiche essenziali del materialismo dialettico come fatto da Engels in alcuni dei suoi lavori fondamentali. Il primo è l’Anti-Dühring, pubblicato dal 1878 mentre Marx era ancora vivo e da quest’ultimo pienamente approvato. Questo testo è importante perché in esso troviamo la prima esposizione sistematica del materialismo dialettico, seppur sotto forma di critica di un malcapitato professore tedesco che si era posto in competizione con l’opera di Marx. Nel 1880 Engels redige Evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, una versione abbreviata dell’opera che ottiene enorme successo commerciale contribuendo a diffondere con semplicità la nostra visione tra le masse. Engels tornerà ancora sulle questioni filosofiche pure nel Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia tedesca (1886) e nell’incompiuta e monumentale Dialettica della natura (scritta nel periodo 1873-86). Riguardo a quest’ultima opera vorrei far notare quanto dice giustamente il nostro Segretario: «la sua difesa è stata da sempre il discrimine tra i difensori del marxismo e i suoi nemici, anche se travestiti da marxisti». I tre principi generali, da intendersi come principi metodologici, come leggi “tendenziali” del materialismo dialettico sono:
1) la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa.
Es. naturalistico: se mettiamo una pentola d’acqua sul fuoco il cambiamento qualitativo conduce ad un cambiamento quantitativo perché l’acqua della pentola diminuisce a seguito dell’evaporazione di una sua parte.
Es. politico è una frase della rivoluzionaria tedesca Ulrike Marie Meinhof: «Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica». In generale l’accumulazione delle tensioni, sempre più forti, porta alla rottura rivoluzionaria.
2) la legge della compenetrazione degli opposti: le contraddizioni sono presenti sempre in ogni aspetto della realtà e ne costituiscono l’aspetto essenziale del movimento e dello sviluppo.
Es. naturalistico: in ogni essere vivente c’è una compresenza di vita e morte, ci sono infatti cellule che nascono, altre che muoiono continuamente all’interno dello stesso essere.
es. ulteriore: in un individuo si trovano sia ignoranza che conoscenza. Nessuno di noi è ignorante, né sapiente in senso assoluto, quindi sappiamo qualcosa e ignoriamo qualcos’altro.
Es. politico: all’interno della nostra unità nazionale, del nostro Stato unitario, ci sono classi sociali che si contrappongono, che hanno interessi opposti gli uni con gli altri: borghesia e proletariato. La contraddizione, nata a livello economico, si estende ai campi politici, ideologici, giuridici, per cui in ogni società classista convivono sempre partiti e culture opposti e una piena unità nazionale è impossibile, salvo in presenza di un nemico esterno talmente pericoloso da far diventare tali contraddizioni secondarie.
3) la legge della negazione della negazione: il divenire dialettico si svolge per successive negazioni e la negazione di una negazione porta ad una sintesi superiore.
es. naturalistico: l’intera dottrina darwiniana dell’evoluzione conferma questo aspetto: attraverso un mix di casualità e necessità un organismo vivente si trasforma diventando sempre più complesso. Da un organismo monocellulare ad uno pluricellulare. Da una giraffa con il collo corto ad una con il collo lungo: negazione di alcune caratteristiche genetiche, o epigenetiche, precedenti e affermazione di alcune nuove.
es. politico: dall’età schiavistica si è passati all’età feudale attraverso la negazione della prima; dall’età feudale si è passati all’età capitalistica attraverso la negazione della seconda. Nel corso della negazione, della liquidazione di una formazione economico-sociale e del sorgere di un’altra formazione non si ditruggono le forze produttive create dalle precedenti generazioni, anzi queste ottengono possibilità per un loro ulteriore sviluppo. Così nella società socialista vi sarà la possibilità di migliorare lo sviluppo bloccato dalla società borghese. Perché il materialismo dialettico è un’arma politica fondamentale? Lo spiega sempre Stalin in uno dei migliori compendi sul tema, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, pubblicato nel novembre 1938:
«Non è difficile comprendere di quale immensa importanza sia l’estensione dei princìpi del metodo dialettico allo studio della vita sociale, allo studio della storia della società, di quale immensa importanza sia l’applicazione di questi princìpi alla storia della società, all’attività pratica del partito del proletariato. Se è vero che non vi sono al mondo fenomeni isolati, se tutti i fenomeni sono collegati tra loro e si condizionano a vicenda, è chiaro che ogni regime sociale e ogni movimento sociale, nella storia, devono essere giudicati non dal punto di vista della “giustizia eterna” o di qualsiasi altra idea preconcetta, come fanno non di rado gli storici, ma dal punto di vista delle condizioni che hanno generato quel regime e quel movimento sociale, e con le quali essi sono legati. […] Se è vero che il mondo è in perpetuo movimento e sviluppo, se è vero che la scomparsa di ciò che è vecchio e la nascita di ciò che è nuovo sono una legge dello sviluppo, è chiaro che non esistono più regimi sociali “immutabili”, né “princìpi eterni” di proprietà privata e di sfruttamento, né “idee eterne” di sottomissione dei contadini ai proprietari fondiari e degli operai ai capitalisti. Vuol dire che il regime capitalista può essere sostituito dal regime socialista, nello stesso modo che il regime capitalista ha sostituito, a suo tempo, il regime feudale. Vuol dire che è necessario fondare la propria azione non già sugli strati sociali che non si sviluppano più, ancorché rappresentino in un momento dato la forza predominante, bensì sugli strati che si sviluppano e che hanno davanti a sé l’avvenire, anche se per il momento non rappresentano la forza predominante».
Personalmente mi sembra che uno dei nuclei centrali del materialismo dialettico stia nella sua interiorizzazione della dinamica della complessità del reale. La realtà non è mai semplice, fissa e lineare, ma sempre carica di contraddizioni intrinseche e problematiche che necessitano di un esame costante e vigile, di uno studio continuo e comparato in ogni disciplina, compresa quella dello stesso marxismo. La stessa struttura e le formule fin qui enunciate in questo lavoro non devono essere intese se non come guide per l’azione. Lenin ci giunge ancora una volta in soccorso per spiegare meglio di tutti il punto:
«Per conoscere veramente un oggetto, bisogna studiare e comprendere tutti i suoi aspetti, in tutti i nessi e le “mediazioni”. Non raggiungeremo mai completamente questo risultato, ma l’esigenza di una ricerca che abbracci tutti gli aspetti ci aiuterà a evitare errori e schematismi. Questo in primo luogo. In secondo luogo la logica dialettica esige che si consideri l’oggetto nel suo svolgimento, nel “movimento di sé stesso” (come diceva Hegel). In terzo luogo tutta la prassi umana deve entrare nella “determinazione” dell’oggetto, sia come criterio di verità, sia come momento pratico che determina il rapporto dell’oggetto con ciò di cui l’uomo ha bisogno. In quarto luogo la logica dialettica insegna che “non c’è verità astratta, che la verità è sempre concreta”».
Ossia in parole più semplici: «Un comunista che pensasse di impadronirsi del comunismo basandosi su conclusioni bell’e pronte ottenute senza svolgere un grande, serio e difficile lavoro preparatorio, senza analizzare i fatti che è necessario considerare criticamente, sarebbe un ben povero comunista». La battaglia che deve condurre quotidianamente un comunista deve essere innanzitutto tesa a conquistare un progresso della propria visione dialettica, informandosi e studiando con l’obiettivo di cogliere e collegare la totalità degli eventi, e non solo una piccola parte di essi, come tende a fare una visione binaria della società e della politica, incapace di vedere altri colori oltre ai soli “bianco” e “nero”.
La capacità di avere una visione dialettica è fondamentale per collegarsi al discorso di Lenin sui “compromessi”, ritenuti in certi casi necessari per giungere ad obiettivi superiori. La mancanza di una visione dialettica può trasformare facilmente un comunista in un estremista settario oppure in un disilluso apolitico, rendendogli impossibile ingoiare certi rospi amari. Lo stesso discorso si può fare in generale per le critiche fatte a certi modelli di socialismo reale, come pure a certi regimi che svolgono funzioni utili in ottica antimperialista e anticolonialista. Critiche legittime, ma incapaci di capire che talvolta le condizioni materiali concrete necessitino di accettare contraddizioni secondarie con l’obiettivo di superarle in un secondo momento, qualora ve ne siano di maggiori e più gravi all’ordine del giorno. Detto altrimenti: in una fascia in cui il nero è il “male assoluto” e il bianco è il “bene assoluto”, non ci si troverà mai a dover scegliere di sostenere uno scontro tra nero e bianco, ma semmai tra diverse sfumature di grigio. Qui sta anche il senso dell’ammonimento di Lenin per cui «colui che attende una rivoluzione sociale pura non la vedrà mai», essendo «un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione».
IL PERCORSO DI MARX ED ENGELS
Diamo ora spazio ad una presentazione sintetica dell’opera filosofica giovanile di Marx ed Engels, per dimostrare non solo come le origini del materialismo dialettico siano comuni ad entrambi, ma anche per sviluppare ulteriori temi.
Partirei dalla tesi di dottorato di Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, dedicata al confronto tra due dei massimi sistemi materialisti dell’antichità. In questo breve scritto Marx ha modo di delineare e contrapporre due diversi tipo di materialismo: quello di Democrito è un materialismo atomistico ma meccanicistico, deterministico, metafisico, in cui ogni cambiamento della natura, e si lascia intendere anche dell’uomo, è determinato con necessità assoluta dalle leggi della natura. Il materialismo di Epicuro invece tiene aperta la porta del causalità nello sviluppo della natura, attraverso il clinamen, una deviazione improvvisa e imprevedibile del moto degli atomi che lascia aperta la strada del caso, e quindi della libertà umana di costruirsi un futuro senza ricette prestabilite. Un Marx ancora molto idealista non ha dubbi nel parteggiare e preferire la filosofia di Epicuro, rendendosi immediatamente conto della difficoltà di conciliare una concezione materialista determinista con la libertà umana. Se tutto è già prestabilito e deciso verrebbe meno la responsabilità dell’individuo nell’azione e quindi anche l’impegno politico delle masse per cambiare la società.
Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1842) Marx inizia la sua critica alla concezione hegeliana dello Stato, contestando il rapporto capovolto che Hegel instaura tra il fatto e l’idea. Si apre così la strada alla critica dell’ideologia, nei cui limiti resta ancora la sinistra hegeliana, incapace di uscire da una “falsa coscienza” del rapporto tra idee e realtà.
LA RELIGIONE COME FUGA DALLA REALTÀ
In un saggio di Introduzione all’opera precedente, scritto nel 1843, Marx riprende e supera la critica di Feuerbach alla religione, affondando la critica dello Stato moderno nell’analisi della struttura sociale ed economica della società. Vi si trova il seguente famoso passo sulla religione:
«Il fondamento della critica religiosa è: l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo. […] Ma l’uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione […] è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. […] La critica della religione disinganna l’uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. […] È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell’autoestraneazione umana, quello di smascherare l’autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica».
Per molto tempo i comunisti sono stati avversati dalle grandi religioni organizzate in quanto implacabili anticlericali e atei. È noto come gli stati socialisti, a partire dall’URSS, non pongano semplicamente la questione della laicità dello Stato, ma spesso abbiano posto l’ateismo come orientamento religioso ufficiale. Oggi si tratta per noi di ragionare dialetticamente sulla questione. Non c’è dubbio che il Vaticano abbia storicamente giocato un ruolo reazionario, rappresentando tuttora una grande potenza finanziaria, oltre che un persistente ostacolo alla piena realizzazione di diritti civili avanzati conquistati in passato (in particolare il divorzio, l’aborto, la libera contraccezione) e continuando a fare danni in ambito culturale con la sua ideologia interclassista, strettamente confacente all’ideologia fascista del corporativismo, e con il suo sostegno a due dei fondamenti della morale borghese odierna (la non-violenza e il richiamo al “buon senso” del “giusto mezzo”).
Saremmo però assai poco dialettici se non riconoscessimo che oggi la Chiesa, quantomeno in Occidente, gioca un ruolo di opposizione assai più rilevante del nostro ai piani globalisti delle élite oligarchiche borghesi. La sua opposizione alla terza guerra mondiale e la riproposizione costante della critica agli squilibri della globalizzazione attuale vanno letti come un’opposizione progressiva alla società dell’individualismo libertario, dell’edonismo, della secolarizzazione, della propaganda dell’omosessualità fatta in un’ottica neomalthusiana, dell’eutanasia, del transumanesimo. Alla civiltà del denaro oggi la Chiesa contrappone una società comunitaria, solidaristica e antirazzista, presentando così non pochi aspetti progressivi e di contatto. Certo, continuano ad esserci molte contraddizioni al suo interno, come mostra l’opposizione tra Ratzinger e Bergoglio, ma in una società ampiamente secolarizzata come la nostra sembra anacronistico battere sul nesso tra propaganda dell’ateismo e lotta rivoluzionaria. La Teologia della Liberazione, oltre a molte eresie sorte nei secoli passati, sono lì a ricordarci che la religione è una fonte preziosa di sguardo utopico e di mobilitazione politica, e si può quindi sfruttarne l’ascendente sulle masse per uno sbocco radicale antisistema.
Lo stesso Marx, nel passo letto, parla chiaro: la religione non è altro che un’altra delle contraddizioni prodotte dal sistema di oppressione economico, tale per cui nel comunismo (ove tali oppressioni non avranno più motivo di esistere) non avrà più ragion d’essere, salvo sopravvivenze sporadiche. La religione in quanto tale infatti non è altro che una forma di alienazione cui è soggetto il singolo essere umano che vive in un sistema ingiusto. È necessario quindi continuare ad educare i propri militanti sull’importanza di analizzare la realtà secondo un’ottica materialista e non idealista, oltre che sull’obiettivo politico di una piena laicità dello Stato, ma l’ultima parola sulla questione l’ha già detta Lenin:
«non dobbiamo in nessun caso scivolare verso un’impostazione astratta, idealistica della questione religiosa, parlando di “ragione”, prescindendo dalla lotta di classe, come fanno spesso i democratici radicali borghesi. Sarebbe assurdo credere che, in una società fondata sull’oppressione e sull’abbruttimento illimitati delle masse operaie, i pregiudizi religiosi possano essere dissipati per mezzo della pura predicazione. Dimenticare che l’oppressione religiosa del genere umano non è che il prodotto e il riflesso dell’oppressione economica in seno alla società sarebbe dar prova di angustia mentale borghese. Nessun libro, nessuna predicazione potrà mai educare il proletariato, se esso non verrà educato dalla propria lotta contro le forze tenebrose del capitalismo. L’unità di questa lotta effettivamente rivoluzionaria della classe oppressa, per creare il paradiso in terra, è per noi piú importante dell’unità di idee dei proletari sul paradiso in cielo. Ecco perché non dichiariamo e non dobbiamo dichiarare il nostro ateismo nel nostro programma, ecco perché non impediamo e non dobbiamo impedire ai proletari, che conservano certi residui di vecchi pregiudizi, di avvicinarsi al nostro partito. Diffondere la concezione scientifica del mondo è cosa che faremo sempre, combattere l’incoerenza di certi “cristiani” è per noi necessario; ma ciò non significa affatto che bisogna portare la questione religiosa in primo piano, in un posto che non le compete, né che dobbiamo ammettere una divisione delle forze economiche e politiche effettivamente rivoluzionarie per opinioni e fantasticherie di terz’ordine, che perdono rapidamente ogni importanza politica e sono ben presto gettate fra le anticaglie dal corso stesso dello sviluppo economico».
L’ORIGINE MATERIALE DELL’ALIENAZIONE
Nel testo Sulla questione ebraica (1843, pubblicato nel febbraio ’44) Marx affronta la questione dell’alienazione sul piano politico: ragionando sulla separazione tra società civile e società politica, tra cittadino ideale e uomo reale, identifica in un motivo materiale, e non ideale, la ragione di questa scissione: è la proprietà privata alla radice di tale rottura, e quindi è la proprietà privata che va superata attraverso il comunismo. La rivoluzione politica che fonda l’eguaglianza puramente formale degli uomini deve essere superata nella rivoluzione economico-sociale. Nel febbraio 1844 Engels pubblica un testo importante con cui affronta la materialità in questione: i suoi Lineamenti di una critica dell’economia politica mostrano le principali contraddizioni delle teorie economiche classiche e dell’economia capitalistica. Marx ne rimane profondamente impressionato e inizia a studiare l’economia lavorando a quelli che vengono ricordati come i Manoscritti economico-filosofici del 1844. In questo testo riprende il concetto di alienazione applicandolo al campo socio-lavorativo: l’alienazione non è più quindi il processo ideale del pensiero, che si estranea da se stesso, ma il risultato di un processo reale, economico-sociale, per cui l’uomo si dissocia dai prodotti del proprio lavoro, da se stesso come lavoratore, dalla propria stessa essenza umana. L’alienazione è perciò vista come il risultato di una struttura economica specifica, fondata sulla proprietà privata capitalistica:
«Dobbiamo comprendere la connessione essenziale che corre tra la proprietà privata, l’avidità di denaro, la separazione tra lavoro, capitale e proprietà fondiaria, tra scambio e concorrenza, tra valorizzazione e svalorizzazione dell’uomo, tra monopolio e concorrenza, ecc., la connessione di tutto questo processo di estraniazione col sistema monetario. […] L’operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce […]. L’operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. […] Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci. […] l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l’oggettivazione del denaro. […] l’oggettivazione appare come perdita e asservimento dell’oggetto, l’appropriazione come estraniazione, come alienazione. […] quanto più l’operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. […] L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea».
Il tema viene presentato in maniera più semplice in una delle massime più note di Marx:
«Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all’osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato».
Sulla tematica dell’alienazione rilevanti sono gli sviluppi teorici raggiunti dalla Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm, ecc.), che partendo da alcuni concetti cardine del marxismo lo mischiano con le innovazioni teoriche più recenti (al tempo in cui furono elaborate) della psicanalisi e della sociologia. Oggi la questione appare di importanza primaria e necessiterebbe grande approfondimento vista la preponderanza dell’alienazione tecnologica e digitale che riscontriamo nelle nuove generazioni. Bisogna però ricordare che per eliminare ogni forma di alienazione occorra agire non sul piano meramente culturale, pensando che si possano convincere tutti con le idee. Ci vuole un movimento pratico che parta dalla soppressione della proprietà privata:
«Si vede facilmente la necessità che l’intero movimento rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel movimento della proprietà privata, per l’appunto dell’economia. Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l’espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. […] La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte, ecc. non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale. La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell’uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua esistenza umana, cioè sociale. L’estraniazione religiosa come tale ha luogo soltanto nella sfera della coscienza, dell’interiorità umana; invece l’estraniazione economica è l’estraniazione della vita reale, onde la sua soppressione abbraccia l’uno e l’altro lato».
VERSO IL MATERIALISMO STORICO
La Sacra famiglia (scritta alla fine del ’44 e pubblicata nel febbraio ’45) è il primo testo scritto a quattro mani da Marx ed Engels: vi viene sviluppata la critica all’hegelismo e alla sinistra hegeliana e si trovano pagine importanti per la critica dell’idealismo e della formazione della concezione del materialismo storico.
«Se si muove dalle dottrine del materialismo sulla bontà originaria e sull’uguaglianza dell’ingegno dato dalla natura agli uomini, sull’onnipotenza dell’esperienza, sull’abitazione, sull’educazione, sull’influsso delle circostanze esterne sull’uomo, sull’alto valore dell’industria, sul diritto al godimento ecc., non occorre una grande acutezza per cogliere la connessione necessaria del materialismo stesso col comunismo e il socialismo. Se l’uomo si forma ogni conoscenza, ogni sensazione, ecc., dal mondo sensibile e della esperienza del mondo sensibile, ciò che importa allora è regolare il mondo empirico in modo che l’uomo vi faccia esperienza di ciò che è veramente umano e si abitui a conoscervisi come uomo. Se il ben inteso interesse è il principio di ogni morale, ciò che importa è che l’interesse privato dell’uomo coincida con l’interesse umano. Se l’uomo è non libero nel senso materialistico della parola, cioè è libero non per la forza negativa di evitare questo o quello, ma per il potere positivo di far valere la sua vera individualità, non si deve punire il delitto nel singolo, ma distruggere i luoghi antisociali dove nasce il delitto e dare a ciascuno nella società il posto di cui ha bisogno per l’estrinsecazione essenziale della sua vita. Se l’uomo è plasmato dalle circostanze, è necessario plasmare umanamente le circostanze. Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società e la potenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, ma nella potenza della società».
LA PRASSI COME RISPOSTA AD AGNOSTICI E SCETTICI
Un punto di approdo decisivo per l’elaborazione dei fondamentali del materialismo dialettico si trova in un breve testo di Marx rimasto a lungo inedito: le Tesi su Feuerbach del febbraio 1845. L’opera è fondamentale per affermare la stretta unità di teoria e prassi tesa a rovesciare il sistema vigente. Vi si trova scritto che:
«I. Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l’oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica […].
II. La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. […] La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
III. La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, […] dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. […] La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.
IV. Feuerbach […]. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che, compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. […] dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica. […]
VI. […] l’essere umano non è un’astrazione immanente all’individuo singolo. […] esso è l’insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non s’addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto:
-
a fare astrazione dal corso della storia, […] a presupporre un individuo umano astratto, isolato;
-
per lui perciò l’essere umano può essere concepito solo come “specie” […].
VII. Perciò Feuerbach non vede che il “sentimento religioso” è anch’esso un prodotto sociale e che l’individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.
VIII. La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica. […]
XI. I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo».
In queste tesi troviamo una delle basi fondamentali del materialismo dialettico che va a rispondere a quello che Engels chiama «il grande problema fondamentale di tutta la filosofia», ma in particolar modo nell’ambito della filosofia moderna, da Cartesio fino a Kant: «quello del rapporto del pensiero coll’essere». La questione è semplice: come possiamo sapere che le idee che si formano nella nostra mente a partire dalle attività concrete corrispondano al vero? Kant, e con lui buona parte della filosofia contemporanea, giunge ad affermare che noi non possiamo esserne certi, perché di ogni ente esiste una cosa in sé che non possiamo percepire con i nostri sensi, e che quindi rimane inconoscibile. La risposta data da Marx e poi da Engels è che il problema della conoscenza si risolve con la prassi, la pratica sociale, la quale sola, unita ad un adeguato ricorso di metodo induttivo e deduttivo, consente all’umanità intera un progressivo avvicinamento alla conoscenza completa della realtà. Il tema si ricollega chiaramente al rapporto tra la filosofia e le scienze concrete.
LA DETERMINAZIONE SOCIALE DELL’ESISTENZA
Nel maggio 1845 Engels pubblica La situazione della classe operaia in Inghilterra, un’inchiesta decisiva per costruire il contatto tra il marxismo e il proletariato. A questo punto la concezione materialistica della storia è delineata da Marx ed Engels in maniera più compiuta nell’Ideologia tedesca, redatta tra il maggio 1845 e l’autunno 1846. Ne emerge una concezione della storia come processo materiale alla cui base sta il lavoro. L’essere umano infatti è una specie evoluta, composta di individui associati che lottano per la sopravvivenza. La storia non è, primariamente, un evento spirituale, ma un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento:
«Il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l’abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni; la produzione della vita materiale stessa […] che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini».
È proprio quest’azione materiale che distingue gli uomini dagli animali. Alla base della storia c’è dunque il lavoro, che consente agli uomini di costruire civiltà e culture sempre più avanzate nel rapporto con gli altri, in un processo che va a condizionare lo stesso modo di esistere degli stessi uomini:
«Il fatto è dunque il seguente: individui determinati che svolgono un’attività produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti sociali e politici. In ogni singolo caso l’osservazione empirica deve mostrare empiricamente e senza alcuna mistificazione e speculazione il legame fra l’organizzazione sociale e politica e la produzione. L’organizzazione sociale e lo Stato risultano costantemente dal processo della vita di individui determinati; ma di questi individui, non quali possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì quali sono realmente, cioè come operano e producono materialmente, e dunque agiscono fra limiti, presupposti e condizioni materiali determinate e indipendenti dal loro arbitrio. La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico».
Nella stessa opera si precisa anche una premessa indispensabile per l’affermazione del comunismo che solo rende possibile il superamento dell’alienazione: lo sviluppo delle forze produttive, descritto come
«un presupposto pratico assolutamente necessario anche perché senza di esso si generalizzerebbe soltanto la miseria e quindi col bisogno ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda, e poi perché solo con questo sviluppo universale delle forze produttive possono aversi relazioni universali fra gli uomini […]. Il comunismo è possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominanti tutti in “una volta” e simultaneamente, ciò che presuppone lo sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni mondiali che esso comunismo implica. Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente».
Riassumendo la sostanza del materialismo storico, si può sintetizzare come in ogni società esista una struttura, ossia l’ossatura economica della società, e una serie di sovrastrutture (diritto, politica, etica, arte, religione, filosofia) che sono espressioni più o meno dirette della struttura. Non sono quindi le leggi, lo Stato, le forze politiche, né tantomeno le religioni e le filosofie a determinare la struttura economica della società ma è semmai il contrario. Un ultimo chiarimento: quando si parla della struttura occorre mettere a fuoco tutti gli aspetti del modo di produzione presenti in un’epoca. Questi sono dati dall’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione. Le forze produttive sono tutti gli elementi necessari al processo di produzione, ossia fondamentalmente:
1) gli uomini che producono (la forza-lavoro);
2) i mezzi di produzione (terra, macchinari, ecc.);
3) le conoscenze tecniche e scientifiche necessarie per organizzare la produzione.
I rapporti di produzione invece sono per l’appunto quei particolar rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro, nonché la ripartizione-distribuzione di ciò che tramite essi si produce. I rapporti di produzione trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà.
STRUTTURA, SOVRASTRUTTURA E DIALETTICA DELLA STORIA
Per comprendere bene il materialismo storico si pone la necessità di riflettere sul rapporto tra struttura e sovrastruttura, tra determinismo e “libero arbitrio”. Marx nel 1859 scrive così in Per la critica dell’economia politica:
«nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. […] Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. […] A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società».
Marx parla qui di un “condizionamento” del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Termine diverso, che esprime un rapporto più indiretto, rispetto a quello di “determinazione”. Nell’Antidühring (1878) Engels inizierà un’esposizione sistematica del materialismo dialettico, con la piena approvazione di Marx. Si tratta di un testo potente, da cui continua ad emergere un nesso abbastanza consequenziale tra struttura e sovrastrutture. Qui ad esempio un passo che mostra il nesso dialettico tra morale e società:
«Noi respingiamo ogni pretesa di imporci una qualsiasi dogmatica morale come legge etica eterna, definitiva, immutabile nell’avvenire, col pretesto che anche il mondo morale abbia i suoi princìpi permanenti, che stanno al di sopra della storia e delle differenze tra i popoli. Affermiamo per contro, che ogni teoria morale sinora esistita è, in ultima analisi, il risultato della condizione economica della società del tempo. E come la società si è mossa sinora sul piano degli antagonismi di classe, così la morale è sempre stata una morale di classe; o ha giustificato il dominio e gli interessi della classe dominante, o, divenuta la classe oppressa sufficientemente forte, ha rappresentato la rivolta contro questo dominio e gli interessi futuri degli oppressi […] Ma non abbiamo ancora superato la morale di classe. Una morale che superi gli antagonismi delle classi e le loro sopravvivenze nel pensiero, una morale veramente umana è possibile solo a un livello sociale in cui gli antagonismi delle classi non solo siano superati, ma siano anche dimenticati per la prassi della vita».
Nel Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (1886-88) si può già notare nell’esposizione l’apertura verso un paradigma diverso che lascia intravedere una relativa autonomia della Politica dall’Economia:
«Lo Stato ci si presenta come il primo potere ideologico sugli uomini. La società si crea un organo per la difesa dei suoi interessi comuni contro gli attacchi interni ed esterni. Questo organo è il potere dello Stato. Appena sorto, quest’organo si rende indipendente dalla società, e ciò tanto più quanto più diventa organo di una classe determinata, e realizza in modo diretto il dominio di questa classe. La lotta della classe oppressa contro la classe dominante diventa necessariamente una lotta politica, che si dirige in primo luogo contro il dominio politico della classe dominante. La coscienza del legame tra questa lotta politica e la sua base economica si attutisce e può anche sparire del tutto. […] Ma lo Stato, una volta divenuto un potere indipendente dalla società, produce subito una nuova ideologia. Per i politici di professione, per i teorici del diritto pubblico e per i giuristi del diritto privato, infatti, il legame coi fatti economici si perde definitivamente. Poiché in ogni caso singolo i fatti economici devono assumere la forma di motivi giuridici per essere sanzionati in forma di legge, e poiché nel sanzionarli in questo modo, com’è naturale, si deve anche tener conto dell’intero sistema giuridico vigente, perciò la forma giuridica deve essere tutto e il contenuto economico nulla. Diritto pubblico e diritto privato vengono trattati come campi autonomi, che si possono e si debbono esporre secondo un sistema, eliminando in modo conseguente tutte le contraddizioni interne».
Precisazioni importanti sul materialismo storico vengono fatte da Engels negli anni ’90 poco prima di morire, combattendo contro le distorsioni causate da un nuovo determinismo che si stava impossessando del partito socialdemocratico. Engels si rende a questo punto pienamente conto del problema di un’impostazione determinista che metteva in ombra il movimento reale della lotta di classe, il momento soggettivo, per innalzare come preponderante una pretesa “necessità” storica inevitabile del socialismo che alla fine giustificava il rifugiarsi nel parlamentarismo e nell’attesa del crollo del capitalismo:
«Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di più non fu mai affermato né da Marx né da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l’unico fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto la battaglia, ecc., le forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi – esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante. Vi è azione e reazione reciproca di tutti questi fattori, ed è attraverso di essi che il movimento economico finisce per affermarsi come elemento necessario in mezzo alla massa infinita di cose accidentali […]. Ci facciamo da noi la nostra storia, ma, innanzitutto, a presupposti e condizioni assai precisi. Tra di essi quelli economici sono in fin dei conti decisivi. Ma anche quelli politici, ecc, anzi addirittura la tradizione che vive nelle teste degli uomini ha la sua importanza, anche se non decisiva. […] in secondo luogo la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante – l’avvenimento storico – che a sua volta può esser considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto. Così la storia, quale è stata finora, si svolge a guisa di un processo naturale, ed essenzialmente è soggetta anche alle stesse leggi di movimento. […] Del fatto che da parte dei più giovani si attribuisca talvolta al lato economico più rilevanza di quanta convenga, siamo in parte responsabili anche Marx ed io. Di fronte agli avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale, che essi negavano, e non sempre c’era il tempo, il luogo e l’occasione di riconoscere quel che spettava agli altri fattori che entrano nell’azione reciproca. […] purtroppo è fin troppo frequente che si creda di aver capito a fondo una nuova teoria e di poterne senz’altro fare uso non appena ci si sia impadroniti dei suoi principi fondamentali, e anche questo non sempre in modo corretto. E questo rimprovero non posso risparmiarlo neanche a qualcuno dei recenti “marxisti”, e ne è venuta fuori anche della roba incredibile». (Friedrich Engels, Lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890)
TRE PROBLEMI APERTI
1) STRUTTURA O STRUTTURE?
La precisazione di Engels è fondamentale, perché significa che una sovrastruttura può indirizzare un cambiamento della struttura economica. Pensiamo alla Cina attuale, dove permane una struttura economica mista tra socialismo e capitalismo, ma in cui la sovrastruttura politica è saldamente in mano al Partito Comunista. Non è un caso che recentemente Sidoli, Burgio e Leoni abbiano introdotto il paradigma della “Politica-struttura”, prendendo verosimilmente spunto anche dalle ricerche fatte da Giacché sul pensiero dell’ultimo Lenin (Economia della rivoluzione). In generale ne esce rivalutato un intero indirizzo teorico che negli anni ’70 prendeva il nome di strutturalismo: non esiste quindi solo la struttura economica, ma in ogni società ci sono molte strutture che agiscono l’una sulle altre in maniera interdipendente e dialettica, con enormi conseguenze politiche.
2) LA FEDE NELLA VITTORIA DEL SOCIALISMO
Il marxismo della II Internazionale e anche quello della III (Comintern) sono riusciti a diffondersi enormemente anche grazie alla fede delle masse proletarie nella vittoria finale, nel sol dell’avvenire. Occorre tenere presente che larga parte delle masse proletarie, e perfino dei gruppi militanti e dirigenti, ha aderito al comunismo non per consapevolezza e adesione filosofica al materialismo dialettico, ma come nuova forma di religione di stampo politico e sociale radicale, come facevano nel medioevo molte eresie. Il fatto che molti abbiano vissuto l’appartenenza al comunismo come una fede, come l’appartenenza ad una chiesa laica, è un dato di fatto e pone la necessità di approfondire la questione della possibilità pragmatica di utilizzare strumentalmente certe concezioni idealiste come propedeutiche e preparatorie alla militanza comunista. Mi sembra rimanga necessario agire in ogni caso sulla continua formazione di simpatizzanti e militanti comuniste provenienti da un’ideologia idealista proprio per rendere più coesa e solida la comunità politica del Partito, ed in prospettiva per evitare non solo scissioni, ma anche possibili conflitti escatologici di tipo religioso come quelli che hanno caratterizzato l’URSS negli anni ’30 del ‘900, secondo Losurdo. Occorre quindi ragionare con cura sulla questione, ricordando ai militanti che la vittoria del socialismo è tutt’altro che scontata, e che ciononostante solo la nostra intensa capacità di credere in questa vittoria può darci l’energia per accettare i sacrifici richiesti dalla lotta rivoluzionaria.
3) IL PROBLEMA DELLA MANCANZA DI UN’ETICA “IDEALE”
Oggi il primo nemico è ancora l’idealismo, o piuttosto una forma volgare di materialismo? C’è stata una fase storica, in particolar modo tra XVII e XVIII secolo, in cui le avanguardie borghesi sono state coscientemente materialiste, in quanto ciò permetteva loro di combattere ideologicamente la cultura feudale nobiliare, e quindi la loro egemonia politica. Nell’epoca borghese sembra di poter identificare due fasi: nella prima, precedente alla società dei consumi di massa, la borghesia si appoggia su varie forme di idealismo. Nella seconda, che per il nostro paese parte dagli anni ’60-70, vediamo come la borghesia si adegui, anche sulla scia dell’influenza del movimento comunista, a rigettare l’idealismo per abbracciare una forma nuova di materialismo. L’avvento del consumismo di massa ha rafforzato una concezione materialista che ha cancellato non solo tutto ciò che era considerato sacro, ma anche ogni forma di cultura e morale proletaria anticapitalistica. Oggi l’uomo medio è un materialista metafisico che ha trasformato nel denaro e nei piaceri sensibili la propria religione, vedendo nella scienza il metodo migliore per far avanzare la società verso un’accumulazione infinita di merci e servizi, in ossequio alle logiche interne del Capitale. In questa visione manca spesso la dialettica e la visione della totalità, tanto da ricondurre la maggioranza ad un’alienazione più pervasiva. La maggiore conoscenza delle strutture sociali, culturali e psicologiche, unita alla società tecnologico-industriale moderna, permette ai governi di esercitare un determinismo sempre più forte sulla società, creando forme di dissonanza e di dissociazione cognitiva che rendono quasi impossibile ad un singolo di prendere consapevolezza della propria condizione di dipendenza e sostanziale servitù. In pratica siamo arrivati al punto in cui il materialismo dialettico è diventato appannaggio delle élite oligarchiche borghesi, che lo usano contro il popolo. Tutto ciò consolida alla radice la struttura economica.
Il problema di fondo è che il possesso di una visione materialista dialettica e sociale, non necessariamente conduce oggi ad un impegno politico a favore della causa proletaria, non solo da parte del borghese (e si ricordi che tutti i grandi maestri del socialismo sono borghesi traditori della propria classe di appartenenza), ma anche da parte del proletario alienato. I maestri del socialismo, seguendo Marx, hanno combattuto per dare uno statuto scientifico al socialismo, di contro a quello “etico” dei socialismi utopistici. Oggi, giocando sull’importanza della struttura culturale, si pone per noi invece la necessità di costruire anche un incentivo ideale, una morale comunista da contrapporre a quella borghese. Dobbiamo riuscire a comunicare il senso etico e identificare chiaramente i vantaggi non solo materiali ma ideali della scelta comunista, cercandoli nel nucleo razionale della storia della filosofia e nelle esigenze profonde della nostra natura umana.
Alessandro Pascale, responsabile nazionale Formazione del Partito Comunista
1La gran parte delle citazioni sono tratte da A. Pascale, Storia del Comunismo, Intellettualecollettivo.it, 2019 [1° ed. In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo, 2017] dove è possibile trovare le fonti dettagliate. Per i testi di Marx ed Engels si sono confrontate l’edizione K. Marx & F. Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1979 [1° ed. 1966] e i testi disponibili sul sito Marxists.org.
2R. Sidoli, D. Burgio, L. Leoni, Pitagora, Marx e i filosofi rossi, Mondorosso.wordpress.com.
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