Collettivismo, proprietà e fraternità

Mar 12, 2020 | articolo

Collettivismo, proprietà e fraternità (I)

Luigi Ferrari

  1. Dichiarazioni di intenti

Ricevo un cortese invito dal gruppo di studiosi, formato da Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli e altri, ad occuparmi, dal mio punto di vista, della loro teoria dell’”effetto sdoppiamento”, da loro elaborata in una successione di scritti.

Ho già avuto modo di esprimere verbalmente la mia consonanza con molte di quelle tesi, non mi è dunque difficile accettare l’incitamento a portare un mio contributo.

L’effetto sdoppiamento, in somma sintesi, riguarda la biforcazione che si è verificata già in epoche molto antiche tra popolazioni che hanno diviso, al loro interno, i surplus della produzione (essenzialmente agro-pastorale) sulla base di rapporti di produzione collettivistici, cioè egualitari e solidali e popolazioni che hanno percorso la via classista, fondata sul privilegio e sulla disuguaglianza.

Nella mia riflessione, soprattutto sulla nascita dell’individualismo borghese (Ferrari 2016), ho ripetutamente mostrato il parallelismo tra i quadri mentali individualistici e lo sviluppo del modo di produzione borghese. In quel contesto, ho contrapposto la struttura del modo di produzione agrario tradizionale signorile-feudale al capitalismo, segnalando la sopravvivenza di forme economiche e rapporti di produzione collettivistici precapitalistici anche ben addentro l’era dell’egemonia borghese (e perfino oggi). Il mio intento di allora era dimostrare che “la mente” attuale, pur nell’era dell’egemonia individualistica, non può essere capita senza coglierne la natura incoerente e composita di individualismo/collettivismo, in stretta correlazione al conflitto tra classismo e collettivismo, che ha percorso tutta la nostra storia. La mia tesi è che il nostro passato occidentale per secoli ha mantenuto ampie strutture produttive, modi di appropriarsi dei surplus e un universo normativo (giuridico, etico e teologico) collettivisti/comunistici, pur in una società medioevale gerarchica a dominanza classista. Credo di condividere questo modello di spiegazione dialettico con Burgio, Leoni e Sidoli, almeno là dove Sidoli afferma:

… l’effetto sdoppiamento e la tendenza socioproduttiva e politico-sociale “rossa”, collettivistica […] non cessarono di esercitare la loro influenza sul processo storico su scala planetaria […] sebbene in Eurasia dopo il 2000 a.C. l’egemonia politica ed economica sia stata detenuta quasi sempre dalla “linea nera”, ossia dall’esito classista, patriarcale e militarista […] in questi ultimi sei millenni la tendenza socioproduttiva collettivistica è riapparsa carsicamente [mia sottolineatura] nel processo socioproduttivo del genere umano …” (Galli et al. 2019, pp. 33-34).

Dunque il mio intento è, qui e ora, approfondire questa contraddittoria e conflittuale mescolanza di forme economiche opposte, tenendo conto dell’”anello” di dipendenze circolari tra modi di produzione e ideologie/mentalità, per cui i primi scolpiscono la soggettività umana che, a sua volta, retroagisce sui modi di produzione rafforzandoli conservativamente o demolendoli attraverso vari tipi di rivoluzioni. Più precisamente, nello spirito del lavoro di Burgio, Leoni e Sidoli, mi soffermerò, prima di tutto, sul collettivismo contraddittorio della società ebraica antica, che ha modellato la nostra tradizione ebraico-cristiana, col fine di mostrare, in una seconda parte, implicazioni e sviluppi moderni.

Aggiungo che Burgio, Leoni e Sidoli – mi pare – vogliano anche far progredire o, quantomeno, approfondire il contributo di Marx ed Engels. Essi, infatti, alla luce delle recenti acquisizioni storico-archeologiche, pongono al centro il superamento della visione della nascita delle attuali classi come un passaggio totalizzante, che non ha lasciato più spazio alcuno alle varie forme dei rapporti di produzione comunistici originari. Gli studiosi hanno cioè voluto “correggere” Marx ed Engels (o piuttosto la loro vulgata), affermando come i due modelli: quello collettivistico e quello classista siano stati, in realtà, compresenti e in conflitto ben oltre l’era antica.

Burgio, Leoni e Sidoli si sono anche chiesti se questa “correzione” finisca per essere in antitesi col marxismo. In merito, il collega Giorgio Galli ha espresso parere negativo, vedendo una coerenza superiore.

Concordo pienamente.

Ma aggiungo che potrei anche essere in grave dissenso se questa verifica, per così dire, di ”ortodossia” nasconda, in realtà, una visione statica del pensiero di Marx ed Engels, da accettare o rifiutare in blocco. Credo che questa impostazione, che cela malamente un’angoscia di difesa, ci riporti alla sterilità della Guerra Fredda, vinta dagli antagonisti del marxismo anche perché essi hanno messo in quarantena questo pensiero, riuscendo a stringerlo in una difesa astiosa e senza sviluppo. Il marxismo oggi è in affanno (pur essendo globalmente in ripresa) per la soffocazione generata dal lunghissimo scontro tra i blocchi. La Guerra Fredda ha raggelato quel piano di sviluppo delle ricerche scientifiche sull’uomo e la società, che Marx ed Engels avevano intrapreso come motore propulsore del socialismo scientifico. Non credo che Burgio, Leoni e Sidoli – come del resto essi stessi dichiarano – si preoccupino di fare una difesa miope di Marx, nel senso di ribattere colpo ideologico su colpo ideologico. Ho bensì l’impressione di vedere in loro la volontà di portare avanti il programma di ricerca, che è stato uno dei più importanti di Marx scienziato; il quale – ricordiamo – diceva di sé: “io non sono marxista!” proprio per indicare la sua esecrazione per ogni forma di “imbalsamazione” e santificazione del sapere.
Ma, in ogni caso e lo ripeto, il contrasto con Marx qui non si dà.

Ma, in ogni caso e lo ripeto, il contrasto con Marx qui non si dà.

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