CONOSCERE IL NEMICO: LA NUOVA DESTRA

Mag 14, 2023 | articolo

Il quinto incontro della scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci, dedicato al tema “Conoscere il nemico: la nuova destra”, si è svolto nei locali della cooperativa La Liberazione il 22 aprile 2023. Di seguito il testo della relazione tenuta dal sottoscritto Alessandro Pascale, responsabile nazionale Formazione del Partito Comunista, a cui segue la traccia scritta dell’intervento di Matteo Luca Andriola, intitolato La nouvelle droite e il pensiero di Alain De Benoist: fra populismo identitario e lotta culturale per l’egemonia “gramsciana”. È disponibile la registrazione video caricata sulla pagina youtube del Partito Comunista Milano (@pcmilano). È possibile scaricare i due testi in un unico file PDF cliccando qui.

INTRODUZIONE

di Alessandro Pascale

Oggi ragioniamo su un tema delicato assieme ad Matteo Luca Andriola, autore del libro La nuova destra in Europa, di cui vi riporto la breve recensione che ne avevo fatto tre anni fa per cogliere il collegamento con quanto detto fino ad ora:

«Il testo permette di cogliere il collegamento tra i successi attuali delle destre “populiste” (Le Pen, Salvini, ecc.) e un affinamento della teoria in senso egemonico delle destre neofasciste.

Le origini di questa progettualità metapolitica vanno cercate nel variegato lavoro culturale svolto dal think tank francese del Grece a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.

L’ottica è quella di un gramscismo di destra, che dopo un lungo percorso di produzione teorica ha trovato negli ultimi decenni un collegamento via via crescente con i ceti politici delle destre più reazionarie. Si potrebbe leggere il fenomeno come una “rivoluzione neo-conservatrice” che si poggia su un impianto nazionalista e social-imperialista, fondato sul differenzialismo culturale, piuttosto che etnico. La difesa dell’identità nazionale è una difesa dall’“altro”, che non viene concepito da un arricchimento quanto piuttosto un rischio di degenerazione morale. Un atteggiamento xenofobo è l’assioma implicito di questi ragionamenti aristocratici.

La “nuova destra” è un modo intelligente per nascondere il razzismo che permea la mentalità di questi signori, che farebbero qualsiasi cosa in loro potere, perfino ripudiare l’imperialismo “liberal” statunitense, pur di non vivere in una società multietnica e orientata culturalmente in senso democratico, liberale ed egualitaristico. Inutile aggiungere che in loro non si trova alcuna proposta di controllo popolare dei mezzi di produzione. L’apertura che fanno alla sinistra riguarda solo l’ottica dei diritti civili (ed è molto parziale) e di un rinnovato welfare State in un’ottica esclusivista. Qualcuno parla perfino di ripristinare un “impero”… Non sono tesi folli, sono progetti politici degni prosecutori della teoria giustificazionista dell’imperialismo, che ama mascherare dietro i motti della “libertà” la propria inusitata violenza. Leggere questo libro significa insomma capire quali sono i potenziali Hitler del XXI secolo e cosa dicono di voler fare dopo aver preso il potere».

Alcune osservazioni ulteriori sul tema.

Viviamo in un’epoca in cui sembrano saltate tutte le categorie politiche: molti ritengono anacronistiche le dicotomie destra-sinistra e fascismo/antifascismo.

Sulla dicotomia destra-sinistra si argomenta giustamente con la situazione che si è venuta a creare negli ultimi 30 anni, in cui in tutto l’Occidente la sinistra liberale e socialdemocratica si è appiattita sulle politiche neoliberiste che un tempo erano espressione solo di settori della destra. Di fatto si è creata un’oggettiva equivalenza su diverse questioni politiche rilevanti tra destra e sinistra, specie per quel che riguarda le ricette economiche e sociali.

La dicotomia fascismo/antifascismo è diventata così una maniera, per la sinistra, di rinnovare un’illusoria differenza politica con le destre che culturalmente sono figlie o nostalgiche del nazifascismo. L’antifascismo portato avanti da questa sinistra si è però trasformato, mettendo da parte l’originaria matrice marxista, anticapitalista, antimperialista, internazionalista e allo stesso tempo patriottica, che caratterizzava l’orizzonte ideologico delle Brigate Garibaldi, ossia la maggioranza assoluta del movimento partigiano combattente. La Resistenza partigiana mirava nella sua stragrande maggioranza (considerando anche i gruppi socialisti) a costruire un ordine nuovo socialista, fondato sulla compresenza di diritti sociali e civili. La sinistra post-berlingueriana invece, dopo aver introiettato il neoliberismo, ha ridefinito l’antifascismo con un impianto che ne recupera alcuni temi originari (l’opposizione alla xenofobia, al razzismo e alle dittature antidemocratiche), ma appiattendolo sulle sole istanze liberali, cosmopolite, perfino atlantiste ed europeiste, e sul rispetto esclusivo dei diritti civili.

Questa situazione ha portato al degrado sia del termine sinistra, che di quello dell’antifascismo, enrambi oggi appannaggio principalmente del PD della Schlein, il quale ha sempre aderito al neoliberismo. Il neoliberismo è da mezzo secolo l’essenza, la manifestazione empirica, del capitalismo giunto alla sua fase imperialista. Questo spiega come mai oggi la Schlein sia la migliore rappresentante delle élite capitalistiche internazionali, facendo venire in odio o rendendo indifferente in milioni di lavoratori entrambe le categorie di sinistra e di antifascismo.

Bisogna quindi abbandonare le categorie di destra/sinistra e di fascismo/antifascismo?

Secondo noi comunisti bisogna avere consapevolezza della differenza storica tra destra e sinistra, una distinzione nata con la Rivoluzione Francese, che è riconducibile a chi ha una visione esclusiva dei diritti (destra: diritti per i soli italiani, bianchi, ecc.) e chi invece ha una dimensione inclusiva (sinistra: diritti per tutta l’umanità). Questa distinzione mantiene la sua validità dal punto di vista teorico, ma dal punto di vista pratico, della comunicazione e dell’identità mediatica, è ormai di scarsa utilità, anzi è controproducente per chi intenda contestare il sistema capitalistico. I veri compagni devono sapere che la distinzione destra/sinistra mantiene una sua utilità analitica, e che non dobbiamo stancarci di denunciare, nell’ambito della battaglia culturale contro il revisionismo storico e politico, che il PD non è di sinistra.

Riguardo al fascismo, non possiamo non ricordare come il fascismo classico sia stato definito dall’Internazionale Comunista come «la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario». Gramsci ha definito il fascismo come «un rincrudimento della reazione capitalistica, […] l’illegalità della violenza capitalistica», ricordando che «la liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato». Il fascismo è quindi strettamente connesso con il capitalismo giunto alla sua fase imperialista, ma si caratterizza per il suo carattere apertamente illiberale. Oggi c’è il fascismo? Quello classico no, anche se non ne mancano alcuni elementi, dovuti non al fatto di avere un governo di destra, ma all’ordinamento complessivamente totalitario che non ammette alternative al capitalismo liberale. Il fascismo sta nella clausura che ha colpito Julian Assange, in provvedimenti come il green pass, nella censura mediatica di leader politici sgraditi cui sono capaci con un click le multinazionali come Facebook e Google, e se vogliamo darne una definizione più ampia, possiamo ricordare quella datane da Primo Levi: il fascismo è stato il «custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata». Noi comunisti ricordiamo insomma che non c’è antifascismo senza anticapitalismo e antimperialismo. Per dirla con Brecht, ricordiamo che «coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello senza però che il vitello venga scannato».

Per questa maniera la federazione milanese del Partito Comunista non parteciperà con un proprio spezzone alla manifestazione del 25 aprile, ma organizzerà banchetti in cui raccoglieremo le firme a supporto della campagna referendaria lanciata dal prof. Pennetta e dal Comitato “Ripudia la guerra” per bloccare l’invio delle armi in Ucraina. Riteniamo che questo sia oggi il modo più serio e concreto di praticare l’antifascismo militante, difendendo l’articolo 11 della Costituzione e opponendosi alle politiche guerrafondaie della NATO e dell’UE.

LA NOUVELLE DROITE E IL PENSIERO DI ALAIN DE BENOIST:

FRA POPULISMO IDENTITARIO E LOTTA CULTURALE

PER L’EGEMONIA “GRAMSCIANA”

di Matteo Luca Andriola

Non è semplice dare una definizione corretta al fenomeno culturale della Nouvelle Droite o Nuova Destra. Non è riferito senz’altro alla New Right anglosassone, responsabile della rivoluzione neoliberista degli anni Ottanta, né all’universo skinhead. È, invece, un fenomeno culturale nato in Francia nel 1968 attorno al Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne), associazione culturale parigina il cui leader indiscusso è il filosofo normanno Alain de Benoist, e che si presenta tutt’oggi per una vocazione ‘metapolitica’, agendo esclusivamente in ambito culturale e non direttamente politico, e che oltre a de Benoist ha avuto fra i suoi teorici Dominique Venner, Pierre Vial, Jean Varenne, Jean Haudry, Guillaume Faye, Robert Steuckers, Jean Mabire, Jean-Claude Valla, ecc.

Il Grece nacque con l’intento iniziale di innovare la cultura della destra. Il gruppo venne fondato da ex militanti neofascisti provenienti dalla Federazione degli studenti nazionalisti (Fen), dalla rivista Europa-Action e dall’insuccesso elettorale del Rassemblement européen de la liberté (Rel), coalizione promossa dal Mouvement nationaliste du progrès (Mnp), articolatasi attorno a tre pubblicazioni, Nouvelle École, Éléments e Krisis, tutt’oggi pubblicate.

La Nuova Destra (ND) ha diramazioni in tutta Europa, specie in Italia, attorno alle riviste di Marco Tarchi, Diorama letterario e Trasgressioni, e in Germania, dividendosi fra i gruppuscoli comunitaristi, antiborghesi e nazional-rivoluzionari di Henning Eichberg (Junges Forum e Wir Selbst) che si apriranno ai verdi e addirittura a certi settori socialdemocratici e i gruppi neoconservatori vicini ad Armin Mohler, che gravitano attorno a think tank come il Thule-Seminar e il Deutsch-Europäiche Studien Gesellschaft, e a riviste come Criticon, Junge Freiheit o al trimestrale razzialista Neue Anthropologie. Vi sono inoltre i circoli fiamminghi attorno alla rivista TeKoS di Luc Pauwels, le spagnole e populiste Hespérides e Punto y coma, la rivista romena Maiastra, la britannica The Scorpion, diretta dall’ex membro del National Front Michael Walker, e i conservatori austriaci di Zur Zeit, il cui caporedattore, Jürgen Hatzenbichler, è l’ex pupillo di Andreas Mölzer, ideologo del Fpö di Jörg Haider e intellettuale neodestro.

Cosa rende ‘nuova’ tale destra? Il suo intento di innovare, almeno agli inizi, i referenti culturali della destra radicale e di investire sulla strategia culturale, una strategia metapolitica detta ‘gramscismo di destra’.

Il pensiero filosofico della Nouvelle Droite e di Alain de Benoist

La corrente infatti, a seguito dello studio degli scritti del filosofo marxista Antonio Gramsci, una lettura ovviamente ‘demarxistizzata’, opta per una strategia culturale che verte sulla costruzione di un’egemonia culturale fra le persone, preludio ovviamente per una successiva egemonia di tipo politico.

La Nouvelle Droite, partendo da elaborazioni provenienti dai pensatori della destra francese, dal tradizionalismo (Julius Evola e Réne Guénon), e soprattutto dalla rivoluzione conservatrice tedesca e da Nietzsche, dopo l’iniziale intento di sprovincializzare la cultura di destra, secondo il Grece del tutto irriformabile e prona al pensiero mercantilista, sostiene che la diade antinomica destra/sinistra è logora e vetusta, proponendo “nuove sintesi” culturali, arrivando ad aprirsi dai primissimi anni Ottanta addirittura agli intellettuali della sinistra antiliberale, dal filone anticapitalista antiutilitarista a quello marxista, spiccando come uno dei più interessanti ed atipici tratti del sincretismo e del trasversalismo in campo filosofico. L’intento di Alain de Benoist è quello di svelare l’inganno celatosi dietro la partigianeria intellettuale del pensiero unico liberale progressista moderno, e porsi al di là di esso. Tutti gli sforzi sono tesi a pensare simultaneamente ciò che fino a quel momento non è stato generalmente concepito che separato e distinto dalla rigida divisione assiale dialettica destra/sinistra, base del pensiero nato nel 1789. In de Benoist prende forma, con estrema lucidità, il sogno trasversalista di superare le stantie categorie borghesi di destra e sinistra, la cui adozione equivale ad accettare un terreno di confronto e uno schema di riferimento di lotta politica e ideale imposto dall’avversario e funzionale alla società liberale.1 Nel pensiero debenoistiano alla critica radicale della modernità, segue il tentativo di trovare una giusta alchimia per rispondere alle sfide del secondo dopoguerra europeo, e tale alchimia è pensare trasersalmente e simultaneamente ciò che la modernità ha concepito come statico e rigidamente ingessato nei filoni di pensiero concepiti dalla modernità.

Nonostante le evoluzioni, la corrente, spiega il politologo francese Pierre-André Taguieff, ha cinque costanti: 1) la denuncia del retaggio giudeo-cristiano della cultura occidentale e la sua incarnazione della “religione monoteista dei diritti umani”; 2) l’elogio del paganesimo come diretta conseguenza della critica al monoteismo dirittumanista, presentato come alternativa spirituale per il popolo europeo nel corollario del “fondamento e riferimento normativo al patrimonio indoeuropeo”; 3) la critica all’«utopia egualitaria»; 4) la critica all’economicismo, all’utilitarismo liberale, all’ideale antropologico dell’homo oeconomicus, o homo consumans, arrivando a rimettere completamente in discussione il concetto stesso di Occidente in campo geopolitico, in nome prima dell’Europa-nazione e, in seguito, dell’eurasiatismo, e in campo culturale, rinnegando l’occidentalismo come American Way of Life, distinta dalla cultura europea, e la visione mercatista, specie in chiave “mondialista” e finanziaria, una costante dagli anni Ottanta, specie dopo l’uscita nel 1981 del best seller di Guillaume Faye Le système à tuer les peuples (ed. it. Il sistema per uccidere i popoli, Barbarossa, 1997 e AGA Edizioni, 2017) o, nel 1984, del pamphlet La NSC: Nouvelle société de consommation; e 5) l’etnodifferenzialismo radicale, emerso nella seconda metà degli anni Settanta dalle analisi etnoregionaliste elaborate a suo tempo nei primi anni Sessanta, ed evolutosi negli anni Novanta in una sorta di relativismo culturale ispirato alle tesi di Claude Lévi-Strauss.

Ma andiamo con ordine. Uno dei capisaldi del pensiero neodestro è la critica alla modernità, per de Benoist negazione stessa del canone greco di armonia e giusta misura. Per lo spirito greco, il mondo è il luogo del sacro, l’uomo è lo specchio sul quale si riflettono le dinamiche della natura. Il kosmos è il tutto ordinato, perfettamente autosufficiente e non mancante di nulla. La natura si esprime sempre nella sua forma migliore e il greco, concependola come locus amoenus, la osserva meravigliato. Divinizzando la natura la Grecia valorizza il molteplice e si riconcilia con l’assoluto. L’accavallarsi di diversità non normabili all’interno di un insieme che le comprende e che le dispone secondo una giusta misura (mètron) già di per se pone un fondamento metafisico sul quale organizzare l’esistenza.

Secondo la weltanschauung debenoistiana, gli uomini sono chiamati a farsi interpreti delle leggi eterne della natura e a riconoscersi attraverso l’Altro, paradigma moderno che il pensiero liberale, secondo de Benoist, nega, avendo la tendenza ad omologare, a negare l’Altro da Sé. Per il borghese, infatti, la natura è un fondo a disposizione (Bestand), che può essere usato, distorto e rimaneggiato fino alle fondamenta, a misura di borghese. La natura per il borghese, spiega la ND, è vista più come un problema dal quale fuggire (exundum esse e statu natura), e viene perciò fagocitata entro una rete di significati che si identificano nella meccanicizzazione del mondo e nella cacciata degli déi e nella desacralizzazione della società.

La modernità omologatrice, spiega de Benoist citando Carl Schmitt, nasce col monoteismo giudaico e dalle religioni del libro, mondializzandosi con la predicazione paolina a Roma, arrivando a desacralizzandosi nell’età moderna e contemporanea, divenendo la base delle ideologie moderne, dal liberalismo al marxismo fino al positivismo, ideologie monoteiste figlie del giudeo-cristianesimo, tutte ideologie con una visione lineare della storia, dove l’ideologia si propone di fare del potere lo strumento che permetta di realizzare il bene e sradicare il male, da considerarsi come una declinazione del “totalitarismo paolino”, un qualcosa che avrebbe diviso e desacralizzato il kosmos, i primi elevando il sacro al di sopra dell’uomo, al solo Dio, Yahweh, i secondi mercificando il tutto, mentre nella weltanschauung, che la ND vorrebbe riattualizzare, il mondo è abitato dagli dei e l’esclusione della prospettiva del divenire sottrae l’uomo alla storia e lo proietta nella dimensione dell’essere (Dasein). Vi è una visione organica dell’essere, che è un tutt’uno con il kosmos, dove tutto è legato, alto e basso, macro e microcosmo, cielo e terra, uomo e divinità, uomo e ambiente, tutto organicamente collegato da un rapporto di mutua interdipendenza.2

La critica all’omologazione monoteistica, che negli ultimi anni è sfociata in una critica condivisibile al “totalitarismo liberale” e al “mondialismo” in campo ideologico, alla globalizzazione neoliberista in campo economico e all’unipolarismo americano-occidentale in campo geopolitico, in de Benoist diventerà il mezzo per sdoganare una critica all’egualitarismo, un qualcosa che nasce da Nietzsche: «Nessun pastore un solo gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali» (Così parlò Zarathustra)

Ciò apre all’idea del differenzialismo, ovviamente rielaborando le riflessioni sul relativismo culturale di Claude Lévi-Strauss, dove il pensiero di de Benoist unisce la prospettiva nicciana e quella del tradizionalismo evoliano che, pur con le dovute differenze, si pronunciano limpidamente a favore della disuguaglianza – o meglio, differenza – degli uomini.3 Questo differenzialismo fa da ponte perfetto per interconnettere la Nouvelle Droite col populismo identitario di destra, in primis soggetti come la Lega Nord, il Vlaams Belang ecc. La Nouvelle Droite rinnega il nazionalismo patriottico basato sul culto dello Stato-nazione, dato che il moderno modo di concepire l’appartenenza, lo stato-nazione, è figlio della modernità e soprattutto della rivoluzione francese, evento storico da loro in parte contestato. La ND basa l’appartenenza del singolo alla piccola comunità, al suo comune, alla sua regione d’appartenenza, definite ‘patrie carnali’ premoderne. Questo identitarismo si basa su concetti culturali. Secondo de Benoist, infatti, “la Nazione determina talvolta un’etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L’etnia è un’unità razziale di cultura”. Ciò implica che tali piccole comunità europee vanno concepite come piccoli universi separati a tenuta stagna, dove la comunicazione, i commerci, gli spostamenti ecc. sono ridotti al minimo per evitare sconvolgimenti etnico-culturali, meticciato e ‘inquinamento’ portato dall’elemento allogeno.

All’interno della comunità andranno ripristinati i vecchi vincoli comunitari repressi dalla modernità, cioè le autonomie comunali, quelle corporative, e il cosiddetto comunitarismo solidarista. Vi sarà inoltre un forte rispetto per l’ambiente che leghi misticamente l’uomo alla terra, cioè il mito völkisch di origine romantica e rivoluzionario-conservatrice nato in Germania nel XIX secolo. Il differenzialismo neodestro crea una sorta di ponte fra tale corrente di pensiero e il populismo identitario, seppur volgarizzato, perché concetti come ‘Padroni a casa nostra’ sono l’emblematico motto fondato sul timore del forestiero pronto a rubare la ricchezza e a contaminare la cultura e l’identità locali. In realtà siamo noi a perpetrare il saccheggio nelle ‘periferie del mondo’, cosa che il populista di destra spesso non dice, ma che paradossalmente è una delle riflessioni più interessanti della Nouvelle Droite.

Le tesi del Front national, personalmente, mi danno la nausea […] Anzitutto, riguardo all’immigrazione, perché la logica del capro espiatorio mi è insopportabile. Lasciar intendere che la causa fondamentale dei problemi che la nostra società deve oggi affrontare è costituita dalla presenza degli immigrati sul suolo nazionale, è semplicemente grottesco. Se in Francia non ci fosse un solo immigrato, noi avremmo esattamente gli stessi problemi […] L’arresto dell’immigrazione implica […] al contempo la necessità di criticare in profondità la logica capitalista e di aiutare i paesi dei Terzo mondo a rompere coi miraggi dello ‘sviluppo’ come lo concepiscono la Banca mondiale e il Fmi. Questo implica, soprattutto, la necessità di riconoscere che le prime vittime dell’immigrazione sono gli immigrati, e che è in primo luogo la loro identità a trovarsi oggi minacciata. In questo senso, il problema dell’immigrazione avrebbe potuto indurci a una riflessione critica sui difetti di un modello francese di ispirazione giacobina che sa ‘integrare’ solo gli individui e propone loro immancabilmente di rinunciare alle loro radici per assimilarsi. Ma questa critica della logica dello Stato nazionale fa difetto a tutta la classe politica che ne è il prodotto, Le Pen incluso ovviamente”.

L’analisi qui sopra riportata non appartiene a un intellettuale marxista anticonformista. È di Alain de Benois! Notiamo quindi, come vederemo meglio, che c’è, come spiego nel mio libro La Nuova destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist, un nesso fra questa corrente di pensiero e il populismo di destra, ma non nella misura in cui i suoi teorici si mettono al diretto servizio di tali partiti, quanto nella presenza di associazioni culturali animate da personalità provenienti dal radicalismo di destra che tendono a rielaborare – nel solco del citato ‘gramscismo di destra’, con l’intento di fare egemonia culturale – tali riflessioni concretizzandole o, in tal caso, volgarizzandole.

Nouvelle Droite e populismo in generale

Da parte della Nouvelle Droite, infatti, c’è da sempre – specie negli ultimi anni – un’interesse per il fenomeno del populismo, sia di destra, più recettivo su certi temi, che quello di sinistra, fenomeni emersi con la crisi economica del 2007-2008 e rafforzatisi con gli anni, ma non è necessariamente un fenomeno di destra. Come spiega il prof. Marco Tarchi, politologo e storico di fama internazionale, nonché riferimento della ND italiana, avendo diffuso le tesi di de Benoist in Italia dagli anni Settanta, «Si può concordare sul fatto che esso [il populismo] non corrisponde in alcun modo univoco a un particolare e ben definito tipo di regime politico, o che non ha presentato contenuti omogenei in tutte le sue manifestazioni empiriche e pertanto non può essere ricondotto né a una visione del mondo intesa secondo i canoni delle classiche Weltanschauung né a un programma politico fissato una volta per tutte». Per Tarchi il populismo, più che un’ideologia è un’attitudine, che può coinvolgere partiti di destra (quelli che ho studiato io), ma pure di sinistra, si pensi al dibattito sulla “sinistra populista” di Laclau e all’interesse per l’operato di soggetti come Podemos in Spagna, La France insoumise in Francia, Die Linke in Germania e le successive scelte, elettoralmente non fortunate, di soggetti politici italiani come Potere al Popolo, dal taglio movimentista, o successivamente i progetti di Italia Sovrana e Popolare, dal taglio antisistema.

Come spiegava infatti Luca Ricolfi in Sinistra e popolo. Il conflitto politico nell’era dei populismi, scritto per Longanesi nel 2018, il sociologo torinese offre un’analisi disincantata e critica nei confronti di quella parte politica che vede nella sua ragion d’essere la tutela dei più deboli, degli esclusi, della parte che sta in basso in una virtuale gerarchia di una comunità politica, ovvero la cosiddetta “sinistra”, il cui indebolimento, inteso come perdita di contatto con il suo tradizionale bacino elettorale, ha giovato alle variegate formazioni di stampo populista palesatesi. Ricolfi riconosce che il fenomeno può assumere caratteri solitamente ascrivibili alle formazioni di destra come alle formazioni di sinistra – come notava pure Marco Tarchi –, ma, in ambo i casi, la molla, il detonatore del populismo è il medesimo, «un’offerta di protezione a fronte di un sentimento di insicurezza». «La forza del populismo – prosegue il sociologo – sta precisamente nel fatto che esso è in grado di intercettare sia la domanda di sicurezza economica, specie con il populismo di sinistra, sia quella di sicurezza fisica, specie con il populismo di destra».4 Insomma, dunque, il populismo non sarebbe altro che un tentativo di ripristinare il ruolo che il popolo ha in una democrazia, come la stessa etimologia indica. Esso si premura di ricollocare al centro della scena politica il demos, e di far sì che lo stato nazionale – di cui volens nolens bisogna tenere conto in un contesto costituito da questa entità – torni a far sentire la sua presenza.

Qui entra in gioco la riflessione filosofica della Nouvelle Droite, dato che Alain de Benoist legge il populismo in maniera oggettivamente corretta, e cioè come «una protesta potente contro la spoliticizzazione degli affari pubblici».5

Come ha sottolineato Marco Tarchi «la difficoltà di definirne un’essenza e di circoscriverne il raggio di applicazione [del termine populismo] ne ha determinato […] un destino contraddittorio fatto di improvvise fiammate di popolarità e lunghi periodi di oblio»,6 e ciò rende interessante la riflessione debenoistiana, perché se il maître à pensér della Nouvelle Droite presenterà nelle sue analisi la classica tesi della fine della destra e della sinistra nonché la necessità dell’oltrepassare di tali categorie, per la quale «i politologi non sono mai riusciti a mettersi d’accordo su un criterio o una nozione che potesse servire da denominatore comune per tutte le destre o tutte le sinistre»,7 Alain de Benoist individua nell’opposizione verticale fra popolo ed élite il tratto caratteristico della fine del XX secolo. Non destra/sinistra, ma popolo/élite. Per de Benoist la democrazia ormai sta divenendo una «postdemocrazia [ovvero] […] il programma del capitalismo liberale nella sua forma postmoderna. Un progetto di società la cui ragion d’essere fondamentale è quella di legittimare e mantenere in vigore l’ordine dominante, creando le condizioni di adeguamento del dato sociale più favorevole all’espansione planetaria della logica del capitale»,8 una democrazia ormai in crisi perché è il sistema stesso ad essere in crisi, un sistema dove domina una nuova forma di oligarchia politico-mediatica e finanziaria, acuendo lo smarrimento del popolo verso la Nuova Classe. Dopo aver fatto entrare in crisi il popolo a causa della sua sostituzione con la società civile, che altro non è se non una sommatoria di interessi individuali e non comunitari, la democrazia liberale ha dimostrato tutti i propri limiti e soprattutto un’intima contraddizione in termini, contraddizione notata già da Carl Schmitt, quando affermava che liberalismo e democrazia non erano sinonimi ed anzi sottolineava quanto, in alcuni casi, potessero persino opporsi,9 dato che, spiega il filosofo francese, ormai è diventata regola fare immediato ricorso all’uso di termini negativi come incompetenza al fine di giustificare il ricorso all’espertocrazia senza rammentare che «in politica la competenza non risiede nel sapere tecnico ma nella capacità di decidere tra diversi possibili, ossia nell’attitudine alla decisione».10

Queste riflessioni fungono da ponte verso il populismo tout court, anche di sinistra dato che Alain de Benoist ha detto apertamente di aver votato la lista populista di sinistra La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon – votando al ballottaggio per Marine Le Pen contro Emmanuel Macron –, e tenendo conto che il pensiero debenoistiano non è anchilosato all’uso di intellettuali reazionari ma usa anche quelli di sinistra purché antisistemici, utilizza il pensiero di Antonio Gramsci usando il suo approccio al problema della cultura per elaborare un pensiero politico originale sul terreno dell’organizzazione culturale, decisivo per incidere nella società contemporanea contro il postmoderno, e rendersi così egemone, Alain de Benoist, al di là della destra e della sinistra, cerca punti di contatto con intellettuali marxisti favorevoli a cavalcare il “momento populista”, per citare Carlo Formenti; si veda la sintonia con le riflessioni del marxista francese Jean Claude Michéa, il quale rivolge critiche alla sinistra oggi dominante, che attacca quel popolo di cui un tempo lodava l’istinto rivoluzionario, additandolo oggi invece come piccolo borghese, razzista e reazionario, una sinistra “imperiale”, oramai lanciata in una fuga in avanti nel processo di modernizzazione, completamente appiattita sull’economia di mercato e sull’ideologia dei diritti dell’uomo. E infatti, non ritenendo più valida l’opposizione destra/sinistra – per Michéa logorata dal post-modernismo, per Alain de Benoist logora da sempre perché frutto della modernità –, l’unico spartiacque valido, scrive il marxista Michéa, sarebbe quello fra gli oppositori del capitalismo globalizzato e coloro che lo sostengono come sistema di dominio e disumanizzazione totale.

La Nouvelle Droite e le destre populiste

Il pensiero debenoistiano però, nonostante la sua apparente “apoliticità”, come spiego nel mio libro, ha interagito fin dagli anni Ottanta con certo «nazional-populismo», una categoria che raggruppa partiti come il Front national/Rassemblement national di Jean-Marie e poi Marine Le Pen, il Vlaams Blok prima e ora il Vlaams Belang in Belgio del separatista fiammingo Philip Dewinter fino a formazioni come l’Unione democratica di centro (Udc-Svp) in Svizzera e la Lega Nord in Italia – e certi settori della ‘destra sociale’ postmissina, in An (come la rivista Area di Gianni Alemanno e Francesco Storace, che parlerà di difesa dell’identità, di comunitarismo nazionale e di partecipazione degli utili nelle imprese) e in FdI, un tempo parte dell’ala rautiana del Msi –, soffermandomi sulle interconnessioni col neodestrismo.

Nel caso della Lega Nord ciò è stato possibile grazie al comune interesse per il federalismo, minimo comun denominatore vista la proposta regionalista della Nouvelle Droite contro l’omologante stato-nazione che, vista la matrice illuminista, tendeva a omologare le differenze identitarie e locali. A partire dagli anni Ottanta, ai tempi delle leghe regionali nel nord Italia, personalità che provengono dalla destra radicale iniziano a interessarsi a questo nuovo fenomeno italiano, che nasce in virtù delle contraddizioni sorte in seno alla democrazia italiana, per il consociativismo e in virtù di una crisi della rappresentanza, coi partiti “romani” che non vengono più visti come rappresentanti degli interessi della borghesia produttiva del nord-est. A questo si sommano tipiche contraddizioni locali come l’immigrazione verso il nord Italia e, nei primi anni Novanta, quella dall’esterno, dall’est Europa ad esempio.

Un laboratorio privilegiato di tale interconnessione – che non fu un’infiltrazione, ma un tentativo pratico di attuare un’egemonia sul campo – fu il Piemonte, dove avviene il primo “flirt con le leghe”; fra i primi partiti localisti piemontesi spicca il “Moviment d’arnàssita piemontéisa”, detto “Lista Piemont”, guidato da Roberto Gemmo, e “Piemont autonomista” del cantautore Gipo Farassino, al quale si affianca l’avvocato Mario Borghezio ex direttore di Orion-finanza, inserto di Orion, mensile fondato nell’ottobre 1984 da Maurizio Murelli, militante di estrema destra inizialmente vicino alle posizioni di Franco Freda, che vive a Saluzzo, in provincia di Cuneo, dove ha domicilio in stato di semilibertà dopo 11 anni di carcere a seguito della condanna a 18 anni per concorso morale nell’omicidio dell’agente di polizia Antonio Marino, avvenuto il 12 aprile 1973 a Milano nel corso degli scontri tra neofascisti e forze dell’ordine. Orion rappresenta una delle iniziative politico culturali di maggior fermento e interesse nell’area della destra radicale dell’epoca, alla rivista: “…collaborarono quasi tutti i più significativi esponenti del radicalismo di destra italiano, e la rivista fu tra i primi periodici a dare spazio alle tematiche negazioniste, creando una rubrica apposita sull’argomento, affidata a Carlo Mattogno” quest’ultimo “di gran lunga il più importante e rigoroso negazionista italiano e uno dei maggiori a livello mondiale, sull’argomento”, riporta Daniela Rana,11 mensile che passerà poi su posizioni “nazionalbolsceviche”, o “rossobrune”, e che negli anni ‘90, davanti a ciò che stava avvenenendo in Russia, dove le forze di opposizioni comuniste, legate a Zjuganov, faranno fronte comune con quelle patriottiche contro le deriva neoliberista, proporrà di convergere e votare – nel 1992 e nel 1994 – Rifondazione comunista!

Orion sarà “… uno dei principali laboratori di tale avvicinamento” al leghismo per la presenza di temi dell’identità etnico-culturale, della tutela e salvaguardia della lingua, della cultura, dei valori, dei diritti naturali delle etnie rivendicati anche dalle forze autonomiste, che trovano fondamento nelle analisi della Nouvelle Droite di Alain de Benoist, il quale sosteneva che “Il regionalismo, l’etnismo, sono nomi moderni dell’eterna rinascita delle patrie carnali.”12 È Murelli, in questa concretizzazione politica del ‘gramscismo di destra’ non limitata alla sola cultura e alla metapolitica, a proporre all’avv. Mario Borghezio e ad altri giovani piemontesi con un passato nel Msi o in altre realtà destro-radicali, di aderire a “Piemont autonomista” per dare il loro contributo, in soggetti dov’erano presenti ex militanti del Psi, del Pci o della Dc, ergo non era scontato che il fenomeno leghista prendesse una piega di destra! C’è stato quindi un lavoro di egemonia. Un’altra persona divenuta poi famosa è Gianluca Savoini, che nei tardi anni Ottanta si avvicinò a gruppi di estrema destra; in particolare iniziò a frequentare il gruppo di Orion, attorno all’omonimo mensile. Nel 1991, quando le varie leghe si federano assieme, Savoini aderirà alla Lega Nord, entrando nella consulta per la politica estera del movimento che si riunisce settimanalmente, e si interessò subito dei rapporti con la Russia, tanto che, come da lui dichiarato, già nell’ottobre 1993 era presente nel parlamento russo a Mosca durante l’accerchiamento del parlamento da parte dell’esercito, evento che segnò l’apice della crisi costituzionale russa del 1993. Secondo quanto affermato dallo stesso Murelli in un’intervista rilasciata alla trasmissione di inchiesta Report, intervista che è stata poi trasmessa nella puntata andata in onda il 21 ottobre 2019, tali iscrizioni furono il frutto di una strategia volta a fare aderire militanti nel movimento indipendentista qual era la Lega Nord di allora con elementi neofascisti che portassero il Carroccio verso posizioni identitarie; sempre secondo Murelli, il partito scelto fu la Lega Nord “Perché debole culturalmente quindi più facile da infiltrare/affiliare”. Motivo? Era nato da poco! Ma come dicevamo prima, c’erano pure ex militanti provenienti dal Pci o dai partiti pentapartitici. Ma questi non hanno fatto egemonia!

Ad esempio, un episodio interessante coinvolge Marco Battara, uno dei più cari amici di Murelli: “Viene anche lui dal Fronte della gioventù, e gestisce una libreria “esoterica” milanese, La Bottega del fantastico, che fornisce l’indirizzo postale di “Orion”.” Il giornalista Claudio Gatti, che racconta l’episodio, riporta la testimonianza di Battara sui suoi primi contatti con la Lega: “Quando la Lega ha fatto la prima riunione a Milano, era l’85, eravamo in nove, incluso Bossi. Due eravamo di “Orion”.” Il contatto con i leghisti viene dato a Battara da Francesco Speroni, frequentatore della sua libreria, con lo scopo di dare una mano nell’organizzare l’attività politica ai militanti leghisti disorganizzati e senza alcuna esperienza. Come spiega Battara, “Non sapevano stampare un volantino, non sapevano attaccare manifesti. Gli abbiamo fatto un minimo di scuola di militanza. Tant’è vero che i primi volantini della Lega a Milano sono stati stampati nella tipografia di Murelli a Saluzzo.” Umberto Bossi decide di candidare Battara alle elezioni locali ma la cosa salta quando circola la notizia che riporta il suo: “… curriculum vitae, e si raccontava che i nazisti di “Orion” volevano prendere in mano la Lega.” A quel punto sostiene Battara: “… ne siamo usciti perché non c’era alcun tipo di agibilità politica. Per cui non ci interessava più.”13

Saranno questi, ammette l’ex orionista Alberto Sciandra, divenuto segretario provinciale leghista a Cuneo, a dare al leghismo anni ‘90, quando romperà col centrodestra e darà il ‘la’ alla fase secessionista della Padania indipendente, a introdurre delle simbologie particolari, capaci di evocare miti capaci di aggregare una nuova comunità militante, quella leghista, attorno a nuove progettualità identitarie, come la decisione di iniziare a “giocare con il dio Po”, le adunate, gli alzabandiera, l’uso non più di Alberto da Giussano ma del Sole delle Alpi – introdotto da Gilberto Oneto, direttore dei Quaderni Padani ed ex vignettista della Voce della Fogna di Marco Tarchi – e di determinati simboli e miti celtici (“la riscoperta del celtismo in salsa padana”), tutti determinati da personaggi interni alla Lega Nord provenienti dagli ambienti dal radicalismo di destra, persone che conoscevano molto bene l’importanza comunicativa ed emotiva di determinati simboli, e che riuscirono a convincere Bossi a incamminarsi su questa strada, giudicata, pero, da Sciandra, molto pericolosa: “Abbiamo giocato molto agli apprendisti stregoni e che nessuno si sia fatto male e stato davvero un caso”. Anche l’uso delle Guardie Padane, secondo Sciandra, venne giudicato interessante, ma non come un mero servizio d’ordine bensì una realtà pericolosa, un movimento nel movimento, “le SA della situazione”. Sciandra fu uno degli organizzatori della prima manifestazione della Lega Nord alla sorgente del Po nel 1996, autore dello striscione Dio lo vuole.14 Saranno tali personalità, come Savoini, a introdurre la russofilia nel Carroccio, che non nasce oggi, con Putin al Cremlino, ma negli anni ’90, quando Umberto Bossi volò in Russia per incontrare il leader populista russo Vladimir Zirinovskij, uno dei pochi politici internazionali che all’epoca riconobbe ufficialmente l’indipendenza della Padania proclamata dal senatur e che verrà invitato al Parlamento Padano. Bossi, come poi Salvini prima di innamoransi di Trump e del Dipartimento di Stato USA, visiterà il 25 aprile 1998 la capitale russa come ospite d’onore. “Dopo l’incontro con Zirinovskij – spiega Savoini a L’Huffington Post – Bossi tuttavia si concentrò su altre questioni e per qualche anno non si parlò più della Russia in seno al partito. Io però ho mantenuto i miei contatti con Mosca e quando Matteo è stato eletto sapevo grazie alle mie fonti che stava per scoppiare la questione Ucraina e che questa avrebbe portato al tentativo di dividere Mosca dall’Europa, così ho chiesto al neo-segretario se era interessato a riallacciare i rapporti con il Paese dell’Est”.15 In questa fase di isolamento politico – fuori dal centrodestra – la Lega accentuerà la sua liaison con Forza Nuova, con Fiamma Tricolore su comuni temi come l’immigrazione, ospiterà sulle pagine delle sue riviste intellettuali di destra e legati alla Nouvelle Droite e, in politica estera, difenderà il leader serbo Milosevic attaccato dalla NATO, facendo trovare sullo stesso fronte antiamericano estrema destra ed estrema sinistra.16 Visite alla Russia e alla Serbia che proseguirono fino al febbraio 2000, con delegazioni padane al congresso del partito nazionalcomunista serbo, almeno fino all’arresto del leader serbo. Sarà Savoini, sulla Padania, a recensire nel novembre 1998 il saggio del leader comunista russo Gennadij Zjuganov, Stato e Potenza, edito dalle Edizioni all’insegna del Veltro di Claudio Mutti, esponente di spicco dell’area nazionalbolscevica, criticando nella recensione la deriva americanista liberal della sinistra radicale;17 nel libro si sintetizza patriottismo, comunismo stalinista ed eurasiatismo, tanto esaltato sulle pagine della rivista di Murelli, e sarà sempre lui, sull’organo leghista, a reintrodurre massicciamente non solo l’antiamericanismo e l’antimondialismo, ma l’eurasiatismo.18

Poco dopo l’insediamento di Matteo Salvini al vertice della Lega Nord, preannunciato da incontri culturali pubblici con il teorico della Nouvelle Droite Alain de Benoist, avvenuti a Milano nel dicembre 2013,19 Gianluca Savoini diventa portavoce del neo-segretario e, nel 2014, fonda l’Associazione Culturale Lombardia Russia, le cui finalità sono quelle di promuovere le attività russe in Italia, incluso quindi lo sviluppo di relazioni tra uomini d’affari italiani e russi, e “diffondere le idee politiche russe tramite l’organizzazione di eventi culturali”, nominando presidente onorario dell’associazione Alexey Komov, membro fondatore del Congresso Mondiale delle Famiglie, intervenuto in rappresentanza dell’oligarca russo Konstantin Valer’evič Malofeev, personaggio già allora noto alla comunità internazionale, tra le altre cose, per le sue idee conservatrici che si pongono come obiettivo quello di un’Europa guidata dalla Russia, la quale, secondo Malofeev, ha il compito di salvare il continente dalla sua mancanza di fede in Dio, dal dominio americano e dalla lobby gay.

Tutti fenomeni che avvengono identici anche nella vicina Francia, dove la venatura filorussa che Marine Le Pen ostenta nasce dalla presenza di personalità che hanno militato o nella Nouvelle Droite, o nel mondo nazionalbolscevico o nel radicalismo di destra tout court.20 Sono tali personalità ad aver introdotto il concetto di ‘preferenza nazionale’. Di che si tratta? E’ una ricetta economica che accomuna tutte le destre populiste europee – pure quelle italiane, dalla Lega a Fratelli d’Italia – e che analizza bene il Parti communiste française in un documento del 2011, analizzando l’evoluzione della politica economica frontista, che negli anni Ottanta era “il liberismo tipo Reagan-Thatcher, qualche cosa che assomigliava all’esperienza del Cile di Pinochet. Raccomanda la libertà d’impresa e la deregolamentazione dei mercati finanziari e dell’economia. Nello stesso tempo, l’ultra liberismo del Fn è condito con un certo protezionismo: chiusura delle frontiere, barriere doganali per certi prodotti… […] Il Fn prende a prestito da quello che chiamiamo il fascismo delle origini l’idea di una società senza classi sociali e una visione fortemente corporativista del mondo economico e sociale. Corporativismo nel senso che non c’è bisogno di sindacato. Poiché operai e padroni hanno lo stesso interesse: affinché l’impresa funzioni è preferibile capirsi tra operai e padroni in modo che le imprese francesi, e con esse i francesi, vincano. Questa visione bandisce i sindacati e in essa non c’è alcuna possibilità che lo Stato abbia qualsiasi ruolo di regolazione economica o sociale. Lo Stato deve lasciare giocare la regolazione darwiniana dei mercati. Le buone imprese sopravvivranno e prospereranno mentre quelle cattive spariranno. È dunque necessario creare molte imprese francesi e permettergli di essere più libere possibili, con meno tasse, meno imposte e meno restrizioni per far sì che si sviluppino nel mercato mondiale e che partecipino alla guerra economica mondiale. Storicamente questa visione delle cose sarà, durante gli anni ‘80, quella di Reagan, della Thatcher e degli economisti della scuola di Chicago”.21 Appare chiaro che la presunta attenzione verso i ceti deboli, che dovrebbero essere protetti dall’economia globale dalla chiusura delle frontiere e dai dazi, nasconde invece una politica palesemente classista e un iper-sfruttamento dei lavoratori.

Il programma economico frontista di quegli anni – ma anche quello di oggi, nonostante il neoliberismo sembri mitigato – subisce la fascinazione di numerose analisi elaborate a suo tempo da certi circoli gravitanti intorno alla nouvelle droite e al Grece, come il Club de l’Horloge (CdH), che elabora il concetto di preferenza nazionale. Il circolo, nato nel 1974 attorno alla rivista Contrepoint su iniziativa di Yvan Blot, animatore alla facoltà di Scienze politiche di Parigi del Circolo Pareto, espressione del Grece, riunì simpatizzanti dell’Istitut national de sciences politiques tutti provenienti dalla pubblica amministrazione, dal privato e dalle grandes école – come Alain Devaquet e Jean-Yves Le Gallou, ex allievo all’École nationale d’administration (Ena), collaboratore di Nouvelle École e poi membro del Fn – differenziandosi dal Grece, nonostante alcuni confondano le due realtà.

Jean-Yves Le Gallou, del CdH, elaborerà nel libro La Préference nationale: réponse à l’immigration (Albin Michel, 1985) il concetto di preferenza nazionale, ripreso poi nei programmi sull’immigrazione delle destre populiste europee, Lega Nord e Fratelli d’Italia compresi, una ricetta che, se da una parte non mette in discussione la liceità di un programma di liberalizzazioni, dall’altra inserisce paletti a sfondo identitario per l’accesso al welfare (il classico motto “Prima i nostri!”, o “Padroni a casa nostra!”), con la scusa di una scarsità di risorse pubbliche, indotta invece dalle privatizzazioni.

Nel programma frontista, condizionato da queste tesi, proprio come nella visione di Reagan e della Thatcher non c’è spazio per lo stato sociale, dato che “gli immigrati sono i responsabili della disoccupazione […]. Dato che il loro programma [del Fn, n.d.a.] è ultraliberale, non c’è possibilità di utilizzare le imposte, poiché sono necessarie meno imposte, non è inoltre possibile aiutare i disoccupati, quindi le persone non devono essere disoccupate. Gli aiuti sociali sono addirittura messi sotto accusa a quell’epoca da parte del Front National, poiché sono considerate dispendiose e non corrispondono alla visione che il Front National può avere in termini economici e sociali sul ruolo dello Stato nell’economia”.22 Il Front national, infine, è per “uno Stato forte, contro lo stato sociale, contro l’assistenza sociale, il lassismo con una visione autoritaria e disciplinare, poliziesca, repressiva ecc. Ma con l’assenza enorme di un intervento nel campo sociale stesso. Non sentiamo mai parlare di servizio pubblico nel programma del Fn. […] La valorizzazione dell’azione individuale e dell’imprenditorialità, con l’antifiscalismo, la deregolamentazione e tutta una serie di cose come l’accesso alla proprietà individuale. Il Front National non propone degli alloggi sociali, ma propone di dare quelli che esistono ai francesi e di riservare loro l’accesso alla proprietà. È la priorità delle priorità per il Fn”.23

Tornando al caso italiano, alla Lega e, volendo, a Fratelli d’Italia, cosa determinerà però il cambio a vantaggio del centrodestra moderato, al liberismo e agli USA?

L’analisi del viaggio di Salvini in Israele nel marzo 2016, uno dei baluardi dell’occidentalismo, sembra stravolgere quanto detto, dato che anche nel populismo europeo – come quello francese perché è stato uno dei modelli del segretario leghista – molti leader, come la stessa Marine Le Pen, si barcamenano fra posizioni ora filorusse e filoarabe (magari facendo il tifo un tempo per Saddam Hussein e Mu’hammad Gheddafi e ora per Bashar Al-Assad), ora filoamericane e filosioniste. Ma il populismo europeo, cavalcando la crisi della sinistra, è in piena mutazione genetica, e assume posizioni sociali che il progressismo non fa più sue.24

Marine Le Pen, segnalava Panorama il 6 dicembre 2011, è “volata a New York ai primi di novembre e ha incontrato per venti minuti l’Ambasciatore di Israele all’Onu, Ron Prosor. E il quotidiano Haaretz le concede una possibilità, purché la condanna dell’antisemitismo sia chiara e forte. A Palm Beach, Marine ha cenato con 200 repubblicani del Tea Party di Bill Diamond, finanziatore ebreo di Rudolph Giuliani. E per un soffio non è stata accolta da vip al Museo della Shoah a Washington. Che il secondo turno sia dietro l’angolo?”.

Perché in effetti, una delle peculiarità di tali viaggi – si pensi a Gianfranco Fini ieri e alla Meloni dopo, che dalle lodi a Putin è passata alla cooptazione nell’Aspen Institute prima e poi a sposare tout court non solo l’agenda Draghi, ma tutta la retorica neocon di sostegno all’Ucraina, a costo di tagliare welfare state e rimangiarsi la paventata vena “sociale” e il presunto sfondamento a sinistra – è quella di facilitare lo sdoganamento, risultando presentabili e moderati, anche nei confronti dei referenti internazionali. Il passato insegna: il flirt coi serbi, che isolò la Lega dal resto del centrodestra, non fruttò consensi a Bossi, e una parte dei vertici attorno a Salvini temono oggi che presentarsi da soli e facendo il tifo per Assad, Putin o la Corea del Nord non frutti consensi, e quindi optano per un nuovo centrodestra, magari a trazione leghista, ma con la presenza dei vecchi compagni di strada di Forza Italia. Uno di questi è Roberto Maroni, ex presidente della Regione Lombardia, che se aveva un modello europeo, non era il Front national che guarda Putin, ma la moderata CSU bavarese.25

Israele, dove il governo guidato da Netanyahu è probabilmente il più a destra degli ultimi quarant’anni anni e sopravvive con un solo voto di maggioranza, appeso al contributo di partiti ultraortodossi, è assieme agli Stati Uniti d’America la tappa basilare per sdoganare il Carroccio agli occhi dell’opinione pubblica. L’arrivo nello Stato ebraico nel marzo 2016, però, dove Salvini ha scaricato CasaPound (“È da febbraio dell’anno scorso che non abbiamo più contatti con loro”, assicura),26 non è avvenuta con la consueta compagnia che attorniava Salvini a Mosca.

A Tel Aviv non c’erano Savoini e altri russofili ma i due vicesegretari federali Giorgetti e Fontana – uomini della vecchia Lega – il capogruppo leghista in Commissione esteri Gianluca Pini, e il giornalista varesotto Max Ferrari, ex mezzobusto di TelePadania. Quest’ultimo, espulso dal Carroccio nel 2006 dopo diciassette anni di militanza dura per contrasti con l’allora cerchio magico bossiano e per la sua fedeltà alla battaglia indipendentista, venne riammesso da Salvini, ed è indicato come l’ex ideologo di Lombardia-Russia (si occuperà poi di geopolitica su La Padania, collaborando con la redazione italiana della Voce della Russia, lanciando una versione russa del proprio blog); ruppe però poi con Savoini sposando, oltre a posizioni filoamericane e il sostegno a Israele, una forte islamofobia.

Uomini diversi e moderati, quindi, perché dietro le quinte – ma neanche tanto velatamente – c’è chi vorrebbe tornare alla vecchia Lega e non manomettere gli equilibri geopolitici che disturbano chi in Italia ha un forte peso, ossia gli Stati Uniti. Nella Lega, infatti, alcuni settori intrattengono rapporti con la diplomazia americana. Ora, con un Trump alla Casa Bianca che pare essere contro la russofobia clintoniana, le strategie possono bilanciarsi, ma ieri, con Obama, parevano divergere. A confermare tali contatti con gli Usa sono ben quattro cablo pubblicati fra aprile e agosto 2009 su WikiLeaks.

Il primo, del 28 aprile 2009, si riferisce a un pranzo fra il console americano a Milano e i leghisti Calderoli e Giorgetti, in occasione delle europee del giugno di quell’anno: “Calderoli e Giorgetti concordarono sul fatto che le elezioni europee di giugno sono di secondaria importanza per il partito. Purtuttavia, la Lega Nord sta chiaramente tenendo d’occhio la competizione. Giorgetti ha fatto notare che i sondaggi mostrano un incremento della forza della Lega, ma paradossalmente il leader della Lega, Umberto Bossi è preoccupato dell’eccessivo successo. Ulteriore guadagno elettorale a scapito del Pdl potrebbe sconvolgere l’equilibrio della coalizione e potrebbe indurre il Pdl a cercare di screditare la Lega a ogni occasione prima delle elezioni del 2010. Giorgetti ha detto che la strategia della Lega, nel breve periodo, è tenersi strettamente abbracciati a Berlusconi. «Se Berlusconi dice rosso, noi diciamo rosso. Se dice nero, nero pure per noi»”.27 Notiamo nella conversazione il tono confidenziale con cui Giorgetti e Calderoli interloquiscono col console, svelandogli strategie elettorali. Il cablo n. 2, successivo alle europee, descrive una Lega Nord che in Parlamento inizia a presentarsi contraria al finanziamento delle missioni in Afghanistan. Tutta una bufala, certifica il documento: “La tempistica della sparata di Bossi ha più a che fare con un calcolo politico interno. Con il G8 e le elezioni europee alle spalle, la Lega Nord e il Pdl di Berlusconi sono in competizione per agganciare gli stessi elettori per le elezioni regionali di marzo 2010. A seguito dell’affermazione elettorale alle elezioni europee, Bossi sta dimostrando la sua indipendenza da Berlusconi per ottenere un maggiore peso all’interno della coalizione.

Mentre l’Afghanistan è un ‘non problema’, per il nocciolo duro della Lega, Bossi sta cercando di adescare i voti della classe lavoratrice che, nel passato, in questo ambito ha sostenuto le agitazioni dei partiti di sinistra. Assume la posizione anti-militarista per tirarsi a lucido. La maggior parte dei Presidenti di Regione verranno rinnovati la prossima primavera e Bossi è intenzionato ad assicurarsi che la Lega abbia i margini per avere i posti chiave rispetto ai partner del Pdl. Ricordare a Berlusconi, col quale lavora benissimo, il suo crescente potere relativo lo aiuta”.28 E infatti il rifinanziamento verrà approvato dal Senato esattamente il 3 luglio con la legge 108/2009; la Lega, nei successivi rifinanziamenti, tacerà votando a favore, basti vedere come votò per la missione in Afghanistan il 2 dicembre 2009.

I cablo 3 e 4 invece, dell’agosto 2009, indicano nelle regionali dell’anno successivo uno snodo basilare per i rapporti fra Carroccio e Stati Uniti, visto che sono in ballo ben tre importanti regioni contese fra Pdl e Lega Nord: la Lombardia e il Piemonte, al centro di vasti interessi economici, e il Veneto, che ospita la base militare Dal Molin di Vicenza. Ma i dubbi cadono sui candidati: Zaia, allora ministro dell’Agricoltura, o il sindaco di Verona, Flavio Tosi? Il secondo, “la cui condanna per aver incitato all’odio razziale è stata confermata in appello a luglio”, crea “divisioni ed [è] difficile da far digerire al Pdl e ai membri moderati della Lega”, ma viene riconosciuto come “essere un amministratore efficiente. È chiaramente intenzionato a diventare governatore e sta provando a tirarsi a lucido favorendo relazioni con gli Stati Uniti (rendendosi egli stesso disponibile a incontrare diplomatici Usa e pubblicizzando il nostro viaggio a Verona sui media locali) e rafforzando la sua immagine di figura locale moderata, rispettata e influente. Nonostante sia verbalmente duro sull’immigrazione, ha anche dichiarato pubblicamente che gli immigrati che lavorano sono una parte necessaria dell’economia. L’esito della competizione in Veneto è particolarmente importante per gli interessi Usa in quanto la regione ospita la base militare di Vicenza”.29

È normale, quindi, che si tema per la successione di Bossi, specie di fronte alle citate fasi antiamericane – condizionate da consiglieri e sodalizi provenienti dal radicalismo di destra – che potrebbero intaccare gli interessi Usa. I papabili potrebbero essere quelli della “prima linea di colonnelli sulla cinquantina, inclusi Maroni. Calderoli e Castelli, che rivendicheranno la leadership quando Bossi andrà via. Tuttavia, il disegno a lungo termine dipenderà anche da quei giovani leader che sono stati idonei per i posti influenti”.

Sono Giorgetti, Tosi e Zaia, anche se gli ultimi due vengono esclusi perché in corsa per le amministrative: “Tosi è in prima linea (insieme a Luca Zaia […]) per le elezioni regionali in Veneto nel marzo prossimo. Questo è importante per gli Stati Uniti in quanto il Veneto è uno dei centri economici italiani e ospita la base militare di Vicenza (il quartier generale della componente militare del comando africano degli Stati Uniti e presto sede della ri-consolidata 173ª brigata aerotrasportata)”.

Vi è poi Salvini, giovane rampante della Lega a Milano, all’epoca consigliere comunale, che pubblicamente “è sempre sulle posizioni più radicali, ma non ha mai messo in pratica le sue politiche perché non ha mai ricoperto ruoli amministrativi oltre che consigliere comunale. Tuttavia è la musa ispiratrice del nucleo della Lega Lombarda ed era presente alla fondazione della Lega Nord. Con un po’ di esperienza politica, ora, è probabile che Salvini possa giocare un ruolo più importante all’interno del partito”.30 Salvini, quindi, non desta alcuna preoccupazione all’amministrazione Usa, nonostante sia visto – come infatti avverrà – come uno dei papabili.

Ed ecco che qualche mese prima di partire, Salvini spiegava all’Huffington Post il suo tour in Israele, rassicurando tutti sui rapporti con CasaPound: “I problemi di Israele sono ben altri, dall’Iran alla Turchia che fa poco contro l’Isis. CasaPound è l’ultimo dei problemi. Io vado come segretario della Lega. Punto. E non incontrerò certo i filopalestinesi”. E in merito al futuro viaggio negli Usa: “Per noi la reaganomics resta un riferimento fondamentale sui temi delle tasse, della concorrenza. Il nostro riferimento è chi pensa a una economia di questo tipo. I miei incontri saranno con esponenti del partito Repubblicano”. E su Giorgetti, per Salvini una “colonna portante” in un eventuale governo con la Lega nonostante sia notoriamente filoamericano mentre lui guardi alla Russia, il segretario federale afferma: “Meglio così, ci sono sensibilità diverse. Io sono l’amico dello zar, se c’è qualcuno amico degli altri tanto di guadagnato…”.

Conclusione

Decisi di scrivere questo libro e in seguito di aggiornare la prima edizione del mio libro davanti a fenomeni quali la Brexit in Inghilterra, l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e il crollo dei partiti storici europei, nonché l’ascesa di movimenti populisti di vario tipo, specie collocati a destra. A dimostrazione della centralità del fenomeno populista in Europa e della diffidenza crescente delle masse popolari verso i partiti tradizionali, identificati come i responsabili della crisi politica. È in questo vuoto che fa breccia la strategia egemonica dei circoli che gravitano attorno ai partiti populisti, che rielaborano tesi della Nouvelle Droite e le riflessioni del filosofo francese Alain de Benoist. Tutto questo in una fase in cui il grosso della sinistra si trova sprovvista di una strategia politica, e soprattutto culturale, per uscire dalla crisi. La destra intellettuale, spesso descritta con spocchia e tracotanza come inesistente, è stata invece capace, davanti alla crisi imperante del capitalismo fordista – che ha avuto il suo canto del cigno durante i Trenta gloriosi, 1945-1975 – e lo sviluppo di un capitalismo postfordista, finanziarizzato e sovranazionale, che ha portato non poche contraddizioni, a rielaborare se stessa, a cercare, davanti all’avanzare di un ‘pensiero debole’ e relativista, sposato tout court dalle sinistre e dal mondo liberale, di creare un ‘pensiero forte’, anch’esso con tratti di liquidità post-modernita (si pensi al discorso sul superamento della destra e della sinistra). Come spiegavo nel 2014 nella prima edizione del mio libro, è questa la sfida per una sinistra di classe: non limitarsi alla battaglia politica lì dove c’è il conflitto di classe, ma saper rielaborare la propria cultura tenendola aggiornata ai grandi cambiamenti strutturali, consci che Lenin non si limitò a seguire Marx ed Engels come fossero il vangelo, ma rielaborò tali strumenti per combattere un capitalismo diversa da quello che i due filosofi avevano analizzato. E oggi? La sinistra di classe è pronta, nel XXI secolo, a fare altrettanto?

1 Cfr. Francesco Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 35.

2 Cfr. Alain de Benoist, L’impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, Ponte alle Grazie, Firenze 1996, p. 22.

3 Cfr. Francesco Germinario, La destra degli dei, cit., p. 123.

4 Luca Ricolfi, Sinistra e popolo: Il conflitto politico nell’era dei populismi, Longanesi, Milano 2019, p. 15.

5 Alain de Benoist, Populismo. La fine della destra e della sinistra, trad. it., Arianna Editrice, Cesena 2017.

6 Marco Tarchi, LItalia populista, Bologna, Il Mulino 2018.

7 Alain de Benoist, Populismo. La fine della destra e della sinistra, cit., p. 63.

8 Ibidem, p. 93.

9 Ibidem, p. 39.

10 Ibidem, p. 102.

11 Cfr. Daniela Rana, Destra radicale italiana e negazionismo della Shoah. Una genealogia teorico-politica, in “Rivista di Storia delle Idee”, vol. 3, n°1, 2014, p. 54.

12 Alain de Benoist, Le idee a posto, Akropolis, Napoli 1983.

13 Cit. in Claudio Gatti, I demoni di Salvini. I postnazisti e la Lega. La più clamorosa infiltrazione politica della storia italiana, Chiarelettere, Milano 2018.

14 Alberto Sciandra, intervista rilasciata a Francesco Dalmasso il 10 dicembre 2005, ora in Le Leghe, di Sergio Dalmasso, da C.I.P.E.C, Quaderno n. 17, Appunti sui partiti politici in provincia di Cuneo (1976-1992), ora cit. in Matteo Luca Andriola, Alle radici del fascioleghismo. Gli anni ’90: il Carroccio e la destra radicale, in Paginauno, n°46, febbraio-marzo 2016.

15 Francesco Bisozzi, Lega e Russia, una storia di rapporti lunga 15 anni. Intervista a Gianluca Savoini, l’uomo di Salvini che tiene i fili, in L’Huffington Post, 17 dicembre 2014, https://www.huffingtonpost.it/2014/12/11/lega-russia-intervista-gianluca-savoini_n_6307776.html.

16 Stefano Vaj, ex esponente italiano del Grece avvicinatosi all’associazione leghista Terra Insubre – una delle associazioni identitarie filoleghiste aperte alle tematiche già analizzate nella trattazione –, scriverà che “potrebbe […] piacevolmente sorprendere l’assoluta unanimità con cui praticamente tutte le forze al di fuori dalla più immediata area culturale occidentalista e mondialista – da Rifondazione comunista al Front national, dalla Lega Nord a Sinergie europee al Grece alla Fiamma tricolore – hanno mostrato di percepire immediatamente strumentalità e reale significato dell’attacco degli Usa alla Serbia di Slobodan Milosevic”. Stafano Vaj, Processo alla Serbia, in L’Uomo libero, n. 54, ottobre 2002. Sull’organo leghista furono ospitati interventi di Alain de Benoist e Guillaume Faye, anch’egli noto ex esponente del Grece e amico di Vaj. Cfr. Alain de Benoist, Kosovo e Kurdistan, due pesi e due misure, in La Padania, 2 aprile 1999; Id., Si è aperto il vaso di Pandora, ivi, 6 aprile 1999; Guillaume Faye, I governi europei battano un colpo, ivi, 19 aprile 1999.

17 Cfr. G. Savoini, Ziuganov comunista anomalo, in La Padania, 20 novembre 1998.

18 Cfr. G. Savoini, Non dobbiamo essere una colonia Usa, in La Padania, 26 marzo 1999: “«Come friulani avvertiamo molto da vicino i pericoli legati alla guerra lanciata dalla Nato contro la Serbia. Come Governo della Padania siamo convinti che la sottomissione totale dell’Italia ai diktat americani non potrà che causare danni a tutti i padani». Alessandra Guerra, ministro degli Esteri della Padania e consigliere regionale leghista in Friuli, evidenzia come questa guerra dimostra ancora una volta la prepotenza degli Stati Uniti d’America e l’intenzione di Washington di incunearsi direttamente nei Balcani, per impedire una possibile saldatura tra il blocco europeo e russo”. In un’intervista che Savoini farà a Claudio Risé, questi dirà che la guerra balcanica è stata “una guerra mondialista. Ufficialmente […] motivata con l’intento di appoggiare un movimento di radicamento, quello cioè degli abitanti albanesi del Kosovo per una maggiore autonomia da Belgrado, dalla quale li divide la religione, l’etnia, la cultura, insomma tutto. Nella realtà ci si dimentica che la realtà del Kosovo presentava tensioni croniche da decenni. È stata però la falsa notizia della pulizia etnica in atto nella regione e la guerra scatenata ufficialmente per evitarla che hanno dato via libera a Milosevic per procedere alla deportazione contro i kosovari, ormai resi ufficialmente nemici in quanto alleati dell’aggressore Nato”; G. Savoini, Parla Claudio Risè, docente di Polemologia. «Chi non obbedisce agli Usa è massacrato», La Padania, 26 marzo 1999.

19 Cfr. Matteo Luca Andriola, Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega Nord “al di là della destra e della sinistra”, in Paginauno n. 36/2014.

20 Nel Front il fronte pro-Putin è guidato dal deputato Christian Bouchet, ex neodestrista espulso dalla sezione del Grece di Nantes per “estremismo” (era contrario a convergere coi gollisti di centrodestra) ed ex leader del movimento nazionalbolscevico Nouvelle résistance (poi Unité radicale), gemellato con Nuova azione, l’espressione politica di Orion, sezione francese di quel Fronte europeo di liberazione fondato da Murelli nel 1989 a cui appartenevano realtà nazionalrivoluzionarie come gli inglesi di Third way, gli spagnoli di Alternativa europea, i tedeschi del Sozialrevolutionäre Arbeiterfront, i polacchi di Przclom Narodowy e i belgi del Parti communautaire national-européenne (Pcn), erede di Jeune Europe; Cfr. J.-Y. Camus, Une avant-garde populiste: ‘peuple’ et ‘nation’ dans le discours de Nouvelle Résistance, in Mots, n.55, giugno 1998, pp. 128-138 e N. Lebourg, Stratégies et pratiques du mouvement nationaliste-révolutionnaire français: départs, desseins et destin d’Unité Radicale (1989-2002), in Le Banquet, n. 19-20, febbraio 2004, pp. 381-400. Un altro è stato Aymeric Chauprade, geopolitico di 47 anni, docente a Paris I e collaboratore di Éléments, organo del Grece, ora vicinissimo al Front national, ponte fra Front national e il Cremlino, ospite alla Duma di Mosca nel 2013 http://www.agerecontra.it /public/pres30/?p=11770. La stessa nouvelle droite francese, un tempo europeista, da alcuni anni è eurasiatista, come dimostra il numero 131 del trimestrale grecista Éléments, dell’aprile-giugno 2009, dedicato alla Russia, con un dossier dal titolo Demain les Russies!, dove la questione del ruolo geopolitico del colosso dell’Est viene affrontata facendo il tifo per Mosca nel ruolo di liberatrice dei popoli europei dalle tenaglie unipolari calate sul globo dal 1991 in poi.

21 Pcf, Combatre le Front National de Marine Le Pen, LEM, 2011, in http://lem.pcf.fr/13216, pp. 25-26.

22 Ibidem, p. 29.

23 Ibidem, p. 47.

24 I vertici del Front national “trent’anni fa si definivano liberali e raeganiani”, osserva il teorico della nouvelle droite francese Alain de Benoist, intervistato da Bruno Giurato per Lettera43.it. “Al giorno d’oggi, dopo che Marine Le Pen è succeduta al padre […] lo stesso movimento milita contro il libero scambio, reclama l’introduzione di un certo protezionismo, e denuncia con vigore la deregulation economica”; A. de Benoist, intervista rilasciata a B. Giurato, Perché la vera decrescita oggi è politica, non economica, in Lettera43.it, 25 aprile 2013, https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2013/04/25/perche-la-vera-decrescita-oggi-e-politica-non-economica/83283/.

25 Nel suo libro-manifesto del 2012, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, Maroni scriveva: “Il nostro obiettivo politico (della Lega, n.d.a.) è quello di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della Csu bavarese […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen”, R. Maroni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, con C. Brambilla, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 3, 4.

26 A. Longo, Salvini sbarca in Israele «Il mio modello». Il leader leghista a Gerusalemme scarica CasaPound: «Nessun contatto con loro», in La Repubblica, 30 marzo 2016.

STORIA DEL COMUNISMO

Storia del Comunismo. Le lotte di classe nell’era del socialismo (1917-2017).
Un secolo di storia contemporanea riletto in 4 tomi con la metodologia del materialismo storico. A cura di Alessandro Pascale, storico e insegnante.

STORIA DEL SOCIALISMO E DELLA LOTTA DI CLASSE

A partire dai materiali di “In Difesa del Socialismo Reale”, nasce una nuova collana, pubblicata in 10 volumi da La Città del Sole.

Clicca qui per maggiori informazioni

Partecipa al finanziamento del progetto facendo un’offerta.

IL TOTALITARISMO “LIBERALE”. LE TECNICHE IMPERIALISTE PER L'EGEMONIA CULTURALE

Il primo volume della collana “Storia del Socialismo e della Lotta di Classe”. Uscito nelle librerie nel gennaio 2019 al costo di 25 euro; Per info sull’opera e sull’acquisto clicca qui.