CONSIDERAZIONI CRITICHE SU “IN DIFESA DEL SOCIALISMO REALE E DEL MARXISMO-LENINISMO” E RISPOSTA DELL’AUTORE
Ad inizio ottobre 2018 mi è pervenuta via email da parte di un compagno la critica sottostante. Le osservazioni presenti sono le più ficcanti finora fatte all’opera In Difesa del Socialismo Reale. Esse sono in parte condivisibili, in parte discutibili. Si offre quindi l’analisi critica del compagno. A seguire la mail mandata per replicare sulle questioni poste. Ho ritenuto utile pubblicare tale scambio epistolare, dopo aver richiesto il permesso del compagno, che ha acconsentito scegliendo di rimanere anonimo, firmandosi così con uno pseudonimo. Alessandro Pascale
Il libro è certamente uno strumento validissimo per formare i militanti comunisti e per contrastare la propaganda revisionista dilagante. La sua utilità, per me, sta nel raggruppare in un’unica opera un’immensa mole di fatti storici accertati e renderla disponibile alla consultazione di chiunque sia interessato. Chiaramente il lavoro svolto è stato di tipo compilativo, riportando alla lettera i passi delle opere originali con scarsa o inesistente rielaborazione tematica. Ma questo non lo considero un difetto in quanto la rielaborazione esulava dagli scopi dell’opera e avrebbe anzi annacquato il taglio oggettivo e, per così dire, enciclopedico, dell’opera stessa (senza contare che si sarebbe trattato di uno sforzo sovrumano che avrebbe richiesto decenni per essere ultimato). Molti passi li avevo già incontrati su internet (ad es. i materiali dell’Associazione Stalin, le opere di G. Furr, Gossweiler) e li ho di conseguenza saltati. D’altra parte di molti argomenti non sapevo assolutamente nulla. Non sapevo che la Mongolia fosse stata socialista, non conoscevo la guerra in Cambogia, che Picasso fosse stato un comunista e tanto altro. Non ti aspettare che molti lo leggano per intero perché l’opera non si presta oggettivamente a questo tipo di lettura (sarebbe come se tu chiedessi di leggere per intero un’enciclopedia o un glossario). D’altra parte, probabilmente, sarà un libro che continuerà ad essere letto nel tempo (un punto di riferimento), io stesso so che vi ritornerò di volta in volta per approfondire degli argomenti che non ho ancora affrontato o indagato a sufficienza. Bene fai a stamparlo, a metterlo in rete in forma di sito (indicizzalo il meglio che puoi!) e a diffonderlo il più possibile.
E tuttavia, preso nel suo complesso, un messaggio implicito nel libro c’è e io lo traduco così: non è vero che la teoria era sbagliata e che il comunismo è fallito per questo. Anzi, il comunismo non è stato sconfitto e i fallimenti (parziali) si sono verificati proprio perché (e nella misura in cui) i principi originari sono stati abbandonati. Vale a dire il marxismo-leninismo, il materialismo storico e il materialismo dialettico (fin da ora voglio distinguere nettamente il secondo dal terzo perché su questa distinzione si baserà il mio giudizio critico personale). Così la storia del comunismo può essere suddivisa in una fase ascendente, (culminante con la gloriosa vittoria del comunismo sul fascismo nella seconda guerra) nella quale la teoria M-L si afferma, si combattono i vari opportunismi e deviazionismi, si conquistano i diritti, si vincono le rivoluzioni e così via. E una fase discendente in cui succede la catastrofe, il capo supremo del comunismo internazionale (Stalin) muore, il suo successore lo tradisce e lo sputtana alla grande raccontando un sacco di menzogne infamanti, si afferma il revisionismo, il blocco socialista si divide, i comunisti si scoraggiano, l’economia sovietica diventa stagnante e infine assume il comando un rinnegato anticomunista che distrugge tutto intenzionalmente e la maggior parte dei dirigenti comunisti si vergogna e nega addirittura di essere stato tale (o di averci creduto davvero). Così la proposta che ne scaturisce è la seguente: recuperiamo (applicandola alla situazione odierna) la teoria e il metodo originari (se ha funzionato e ha portato a dei successi significa che era corretta) e combattiamo risolutamente il revisionismo (se ha portato alla disfatta significa che è sbagliato) e le falsificazioni storiche! In questo modo potremo ripartire e conquistare la vittoria! Si tratta solo (!) di convincere tutti i (o la maggioranza dei) militanti e dirigenti comunisti…
Ma quello che manca in questa narrazione è la risposta alla seguente domanda: perché è successo questo? Come è stato possibile? Naturalmente, ripeto, non sto dicendo che il libro avrebbe dovuto contenere una interpretazione originale sulle cause della disgregazione del campo socialista. Sto solo esprimendo il mio personale disaccordo con quella che, secondo me, è la tesi implicita del libro, cioè che le cause del fallimento (totale o parziale) del comunismo non siano in qualche misura da attribuire ad un difetto della teoria rivoluzionaria. Certo, le cause sono state molteplici (accerchiamento capitalistico, infiltrazione dei quadri di partito, difficoltà economiche ecc.) ma tutti questi sono, per così dire, fattori di contesto, non spiegano come sia stato possibile che un opportunista traditore sia diventato il massimo dirigente del comunismo internazionale (Crusciev) , gli altri quadri di partito non siano riusciti a contrastarlo, sia stato seguito (tranne poche eccezioni) da tutti gli altri partiti comunisti del mondo, i suoi successori siano stati anch’essi revisionisti ecc. ecc.
Riporto un passo di Grover Furr (dal tuo libro, cap.4.5 “Punti deboli irrisolti del sistema sovietico di socialismo”) dove si ammette che la dinamica degli eventi deve trovare una spiegazione, in qualche misura, anche nelle caratteristiche proprie della teoria: “…Qualcosa perciò nelle opere di Lenin e in quelle dei suoi grandi maestri, Marx ed Engels, ha facilitato gli errori compiuti onestamente dal suo onesto successore Stalin e utilizzati dal suo disonesto successore Chruščev per coprire il proprio tradimento.”.
Ebbene, l’unico autore che io conosca, che si è interrogato in modo radicale su quale sia questo fattore sbagliato, questo “bug” della teoria, e che ha anche fornito delle risposte secondo me abbastanza soddisfacenti, è Costanzo Preve. Ci tengo subito a precisare che io dissento completamente dalla maggior parte delle opinioni politiche di Preve (antistalinismo, scomparsa della dicotomia destra-sinistra, la Cina come paese capitalista ecc.), così come sospetto che la sua attuale “fama” sia dovuta più alle sue posizioni politiche (sbagliate) che alle sue concezioni filosofiche (giuste). Ma condivido la sua proposta di rimettere radicalmente in discussione alcuni capisaldi della teoria marxista e alcune presunte certezze filosofiche che hanno avuto i comunisti fino ad ora. Anche perché, ad alcune sue conclusioni ero già arrivato in modo autonomo, e le ho solo ritrovate, nelle sue opere, formulate in modo più chiaro e articolato.
In sostanza la sua diagnosi è che la teoria marxista manca di una fondazione filosofica adeguata e manca di ciò perché non si è mai data sufficiente importanza a questo aspetto della faccenda, si è creduto che fosse un aspetto secondario o che la filosofia potesse essere ridotta a semplice risorsa ideologica di consenso. Invece si tratta di una questione strategica. Mi rendo conto adesso che la faccenda è molto complessa e che non sono in grado di esporla adeguatamente, anche perché non ritengo affatto di padroneggiare la materia, per cui per i dettagli rimando direttamente alle opere di Preve (che tra l’altro in buona parte sono disponibili gratuitamente su internet).
In estrema sintesi, per me, il marxismo-leninismo (aspetto politico) va bene, il materialismo storico (aspetto scientifico) va benissimo, il materialismo dialettico (aspetto filosofico) va male, non in quanto dialettico (che va bene) ma proprio in quanto materialismo.
Non è possibile fondare dei valori sulla base di una filosofia materialistica (le particelle in movimento non si basano su dei valori ma solo su catene di cause ed effetti) e una filosofia senza valori è una filosofia nichilistica. Una filosofia nichilistica produce dei dirigenti e dei militanti nichilisti e cinici (e opportunisti, tatticisti, economicisti, settari, narcisisti, individualisti e chi più ne ha più ne metta). I militanti comunisti devono essere, prima di tutto delle persone integre, moralmente e intellettualmente (nel senso di intellettualmente onesti) sennò la sconfitta è assicurata.
Anche nel linguaggio comune (nel quale spesso c’è più saggezza di quanto non si creda) chi vuole cambiare il mondo è un idealista, chi si accontenta di mangiare (quando c’è!), bere e dormire e pensa solo al denaro è un materialista. Il materialismo è la filosofia del capitalismo e questa è una cosa di cui ho cominciato a rendermi conto durante i miei studi (ho fatto anche ricerca) di psicologia: in passato sono esistite delle psicologie europee (perfettamente scientifiche) che consideravano la mente (e il pensiero) come entità distinte da, anche se correlate a, il cervello e i neuroni. Ma le neuroscienze (già non si parla neanche più di psicologia) di oggigiorno di marca americana considerano il pensiero, la mente e la coscienza come semplici “epifenomeni” cioè fenomeni illusori e sostanzialmente inesistenti o irrilevanti. Tra l’altro è su questa base che sta avvenendo la costruzione scientifica dell’”homo economicus” cioè dell’uomo che agisce solo in base a stimoli o aspettative di perdita o guadagno economico (formalizzabile in termini monetari).
La scelta del materialismo, per Preve, avrebbe costituito una ripresa (subalterna) nel movimento operaio dei temi usati dalla borghesia in ascesa per contrastare la metafisica delle classi nobiliari feudali (il materialismo usato per sostenere l’ateismo e l’anticlericalismo), favorita da alcuni equivoci filosofici, es. il materialismo storico (inteso come prevalenza del lavoro e dei rapporti di produzione nella spiegazione della dinamica storica) scambiato per materialismo tout court (che significa non tanto l’affermazione dell’esistenza di una realtà indipendente dalla coscienza, che semmai è il realismo, quanto la negazione dell’esistenza della res cogitans e la reificazione del modello cartesiano della res extensa).
I principali concetti filosofici di Marx nascono sul terreno della filosofia idealistica (si pensi al concetto di alienazione, che non può avere senso in un contesto materialistico) e Marx stesso non se ne è mai distaccato: lo stesso Lenin affermò che è impossibile comprendere Il Capitale senza aver prima letto approfonditamente la Scienza della Logica di Hegel. Tuttavia, successivamente, quando si trattò di scegliere un profilo filosofico per la dottrina rivoluzionaria, Lenin optò per il materialismo dialettico. Io penso che si sia trattato di una questione di opportunità (giustificabile) in quella fase contingente (ma ammetto di non aver mai letto Materialismo ed Empiriocriticismo), in quanto si trattava della filosofia di Engels (uno dei maestri infallibili) e, soprattutto, perché con la sua omologazione di leggi di natura e leggi sociali (per me, al giorno d’oggi, assolutamente insostenibile), sembrava garantire lo sbocco obbligato verso la società comunista. E quindi milioni di militanti hanno aderito al comunismo non perché lo ritenevano più giusto, più umano, più razionale e più bello del capitalismo, ma perché il comunismo avrebbe vinto e gli altri sarebbero finiti nella pattumiera della storia. Poteva funzionare se si fosse trattato di arrivare al comunismo in tempi brevi, ma si è visto cosa è successo quando la guerra di movimento si è trasformata in una guerra di logoramento!
Oggi si tratta di ripartire, ma secondo me è impossibile farlo, riproponendo le stesse concezioni che ci hanno portato alla sconfitta (parlo di noi europei, i cinesi meriterebbero un discorso a parte). Nel senso non tanto che perderemmo di nuovo, quanto che non saremo in grado neanche di muovere un passo se prima non impostiamo una battaglia culturale, e di comprensione profonda della nostra vicenda e dei nostri errori. Ad esempio tu sembri confidare nel fatto che una volta trovata la verità storica e riproposta in un formato il più possibile fruibile e pratico, si tratterebbe solo di divulgarla in modo adeguato ed essa si farebbe strada, in quanto verità, almeno tra i militanti comunisti.
Ma prima dovresti dimostrare che la verità esiste, che i fatti sono fatti e non interpretazioni, come sostengono le filosofie post-moderniste (siamo sempre dalle parti del nichilismo) che vanno di moda oggi a sinistra. E quindi, anche in questo caso, la filosofia conta! Come hai potuto constatare non riesci a farti ascoltare neanche dal partito in cui militavi fino a poco tempo fa (evidentemente hanno altro a cui pensare che la verità storica!). E con dei militanti così è inutile anche impostare un discorso logico sul fatto che l’UE sia una istituzione antipopolare e imperialista, che le primavere arabe siano state delle rivoluzioni colorate ecc. ecc. Useranno sempre la scusa della dialettica (dove non sempre A = A) come una forma di bis-pensiero che li legittima a credere e a sostenere quello che gli fa più comodo!
Per concludere, intendo declinare l’invito a collaborare e a far parte del gruppo di lavoro che stai mettendo su. In primo luogo perché non ho tempo da dedicarvi: il lavoro mi inchioda in negozio dalle 6 di mattina alle 8 di sera (eccetto la domenica), e nei momenti di pausa (dopo pranzo) dormo per recuperare. E’ vero che non tutto il tempo di permanenza in negozio è tempo di lavoro, ci sono anche dei momenti in cui uno può leggere o cazzeggiare (o scrivere, ad esempio questo testo), ma ti sarei comunque di scarso aiuto.
E tuttavia se ritenessi che il tuo progetto è risolutivo, potrei essere capace anche di uno sforzo estremo e collaborare, ma come ho cercato di spiegarti ho forti motivi di dubbio.
Intanto cerco di seguire la massima di un rivoluzionario che passa per essere uno pragmatico:
“un comunista ha solo 3 doveri: studiare, studiare e studiare.”.
Tran Duc Thao
La mia risposta.
SULLA NECESSITÀ DI ANDARE “OLTRE” LA DIFESA DEL MARXISMO-LENINISMO
Caro compagno,
trovo finalmente un po’ di tempo per risponderti con calma. Vado subito al punto della questione. Non nego che a lungo ho ritenuto che bastasse tornare al marxismo-leninismo tout court, al limite con qualche aggiornamento minimo, per rimettere in carreggiata il movimento comunista internazionale. In una certa misura continuo a ritenere che questa sia l’opzione teorica più avanzata (per completezza, metodo e proposta politica) di cui ancora disponiamo tutt’oggi. In effetti In Difesa si presta facilmente fin dal titolo a questa intepretazione, anche se in realtà traspare un’altra ottica, ben presente da una lettura attenta del secondo volume, con la quale si passano al vaglio le esperienze storiche dei continenti asiatici, africani e americani. In quella lettura, se fatta senza stacchi (purtroppo, come fai notare giustamente, ben pochi l’hanno fatta integralmente su quelle parti, dedicando primaria attenzione alla storia sovietica), emerge sottotraccia una visione più complessa. Lì si trova in nuce uno sviluppo di una serie di dati e riflessioni che vanno oltre la dicotomia “periodo del trionfo del m-l/epoca del revisionismo”. Ho cercato di adottare in tal senso una visione più dialettica possibile, cercando di approfondire le intuizioni di Losurdo sul tema (a partire quindi dall’analisi della Cina ma non solo).
Credo però che anzitutto quest’opera, così strutturata, servisse a far prendere coscienza anche delle cause profonde del declino sovietico. In tal senso si pongono già i semi con cui si mostrano le crepe emerse dal marxismo-leninismo nella sua declinazione storica di lungo periodo. Lo stesso discorso vale, purtroppo, per Gramsci. Qualcuno mi accusa già di hegelismo di sinistra, ritenendo che basti far conoscere i crimini dell’imperialismo e la verità sulla storia sovietica per invertire il declino del movimento comunista occidentale. In effetti non credo che basti, ma credo che sia un passo necessario, e che serva appunto per rimettere il tema della discussione su binari più adeguati. Oggi infatti il rischio che si intravede è che l’opposizione all’imperialismo sia riproposta con schemi e ricette in una certa misura invecchiate e anacronistiche, o che necessitano di rapporti di forza non solo non disponibili attualmente, ma impossibili a crearsi in Occidente stante il nuovo contesto di controllo sociale e ideologico raggiunto dal grande Capitale. Avrai visto, immagino, che ho intenzione di dedicare i prossimi anni alla stesura della collana sulla Storia del Socialismo e della Lotta di Classe. Nel primo volume, che uscirà tra poche settimane, ho accusato l’attuale società liberale di essere una forma inedita e moderna di totalitarismo. Nel secondo volume cercherò di presentare l’evoluzione della teoria rivoluzionaria, non solo scrostandola dalle letture “occidentaliste” che non hanno fatto fare alcun passo in avanti nell’ultimo mezzo secolo, ma iniziando ad affrontare più seriamente i problemi teorici del marxismo-leninismo, cercando di fornirne un adattamento utile per la fase in cui viviamo, provando a risolvere, sulla base della mole di dati empirici accumulati in In Difesa, le problematiche storiche che si sono verificate. Su questi temi ho iniziato a ragionare sempre più in quest’ultimo anno. Non so se sarò in grado di risolverli da solo onestamente. Proverò a dare il mio contributo, anche se servirebbe davvero un intellettuale collettivo in tal senso. Il mio obiettivo principale con In Difesa era in effetti quello di creare maggiore consapevolezza diffusa dei veri problemi da affrontare, senza dover perdere tempo a ribattere su questioni già risolte da decenni. Mi sono reso conto solo dopo la pubblicazione dell’inadeguatezza di raggiungere un vasto numero di persone in tempi brevi, con un’opera di 2500 pagine. Ho ragionato sulla possibilità di realizzare un compendio, iniziandolo anche. Poi però le contingenze mi hanno spinto in altre direzioni, trovando più proficuo irrobustire la fase di diffusione dei dati storici oggi ancora misconosciuti non solo nella società, ma anche nel contesto comunista. Occorre insomma fare un passo per volta, nella consapevolezza che ci vorranno anni, forse decenni, per ottenere effetti rilevanti. Per questo ho preferito affrontare la pubblicazione cartacea dell’intera opera.
Per quanto riguarda il materialismo dialettico io credo che esso si il punto più vitale, valido e attuale di quello che chiamiamo “marxismo-leninismo”. Occorre certo offrirne una versione “alleggerita” e snella, non accademica, che possa fungere da strumento di formazione per forgiare una forma mentis proletaria alternativa a quella borghese dominante. La qual cosa è oggi uno dei problemi principali per evitare il rischio di scomparire come punto di vista autonomo organizzato nella società. L’irrilevanza politica delle organizzazioni comuniste attuali rende tale rischio molto concreto e minaccioso. Sono d’accordo con te che il materialismo dialettico necessiti di una base etica su cui poggiare. La questione dell’etica è stata data per implicita dagli stessi “classici”, senza mai essere opportunamente presentata. Ho intenzione di iniziare il secondo volume della collana esattamente da questo tema, il quale però per essere sviluppato al meglio necessita di un volume apposito che pure ho già schematizzato ma che non ho il tempo di scrivere per ora, dato che devo dare la precedenza al resto delle elaborazioni. Le questioni che poni sugli sviluppi delle neuroscienze sono pregnanti, perché hanno come conclusione, per noi inaccettabile sotto ogni punto di vista, il duro e puro determinismo meccanicista, alla Spinoza per intenderci. Rimango convinto che non sia così, e che il problema non sia in sé la concezione del materialismo dialettico, ma la non comprensione del materialismo dialettico, a danno del ritorno di una visione volgare, metafisica, settecentesca del materialismo. Il materialismo dialettico è già in Marx ed Engels strettamente correlato all’umanismo, anche se quest’aspetto, di cui ha parlato anche Sartre, non è stato messo adeguatamente in rilievo. Ho letto molti testi diretti, sia degli autori “classici” (compreso quel Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, che ti consiglio caldamente) che di “interpreti” e “divulgatori”, sul materialismo dialettico, e posso garantirti che se c’è uno strumento fondamentale da cui penso si possa e si debba ripartire è proprio questo. L’esito che vedi tu, quello cioè del rischio di una visione priva di umanismo e spiritualità, un’ottica quindi meramente politicista ed economicista che rimuove la questione della lotta di classe nel campo culturale ed esistenziale (la conquista delle menti), passa in effetti proprio dall’applicazione del solo materialismo storico privato del materialismo dialettico. Se ci pensi, questa è la storia del marxismo occidentale degli ultimi 70 anni. E si è visto come è andata a finire.
Le lettura positivista che è stata data al pensiero di Marx ed Engels da Kautsky, e di conseguenza dal marxismo della Seconda Internazionale, che si è formata sulle sue opere più che sui testi diretti (la gran parte dei quali all’epoca non ancora editi o introvabili), ha sicuramente favorito, con il suo messaggio di certezza della vittoria finale, la diffusione del comunismo nella mente di milioni di proletari in tutto il mondo. Ha pesato in tal senso certamente anche il messaggio “utopico” e quasi “religioso” (vd Korsch) di tale marxismo “crollista”, con tutte le conseguenze negative di lungo termine che ne sono derivate. Ma quello non era materialismo dialettico. Era per l’appunto una versione meccanicista e volgare del materialismo storico, sulla quale Engels ha messo in guardia negli ultimi anni di vita. Non possiamo sapere come sarebbe cambiato il mondo se Kautsky da giovane invece di avere avuto una formazione darwinista, avesse compreso in profondità Hegel e gli stessi Marx ed Engels. Occorrerebbe certamente chiedersi come mai solo Lenin e pochi altri siano stati in grado di capirli fino in fondo. Per farlo occorreva non solo fermarsi a studiare a fondo la vasta, quasi sterminata opera teorica di Marx ed Engels, ma l’intera storia della filosofia. Questo sforzo compiuto da Lenin, a differenza di molti altri leader marxisti, gli ha permesso di comprendere appieno il materialismo dialettico e il suo metodo, che ha saputo applicare bene andando contro la quasi totalità del movimento comunista internazionale stesso. Se ci si vuole attrezzare per la necessaria nuova guerra di posizione, oppure per la futura guerra di movimento, a seconda di quali possano essere gli sviluppi futuri mondiali, se si vuole distruggere le filosofie post-moderniste, occorre necessariamente ripartire dal materialismo dialettico, sul quale non riesco a trovare alcun punto debole, se non l’aspetto che hai segnalato della necessità di affiancargli un discorso sull’etica.
Fai bene a continuare a studiare. Dobbiamo farlo tutti. Io continuo ogni giorno a scoprire elementi nuovi e mi rendo conto che proprio il tema della diffusione dei saperi in una forma più accessibile possibile per le masse sia un tema oggi cruciale, per evitare l’eliminazione politica dell’opzione comunista. Il modo migliore per evitare questo rischio è rafforzare la diffusione delle idee, il che in ultima istanza si fa con la politica. Sono convinto che nella condizione data ciò non possa avvenire se non con l’organizzazione della lotta di classe culturale che le organizzazioni comuniste italiane oggi non sono in grado di fare non solo a causa della propria debolezza politica, non solo a causa del diffuso opportunismo, ma anche e soprattutto per l’arretratezza complessiva delle cognizioni culturali dei propri dirigenti, educati in mezzo alle menzogne e al revisionismo. Le poche migliaia di comunisti militanti di questo Paese sono personaggi che nella stragrande maggioranza dispongono di un’etica e sono moralmente integri, ma sono nati e cresciuti nell’idealismo o nell’eclettismo ideologico, vanificando così le proprie buone intenzioni con un’incapacità complessiva di dispiegare una risposta organizzata di classe contro l’offensiva della borghesia.
Alessandro Pascale
30 ottobre 2018
IN DIFESA DEL SOCIALISMO REALE E DEL MARXISMO-LENINISMO
Due volumi, 24 capitoli, per complessive 2500 pagine. 20 pagine di Indice. 80 pagine di sola bibliografia. Di fatto un volume enciclopedico sulla storia contemporanea e sulle questioni fondamentali del socialismo reale . Questo e molto altro è “A cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo” a cura del ricercatore storico e militante politico Alessandro Pascale
STORIA DEL SOCIALISMO E DELLA LOTTA DI CLASSE
A partire dai materiali di “In Difesa del Socialismo Reale”, nasce una nuova collana, pubblicata in 10 volumi da La Città del Sole.
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IL TOTALITARISMO “LIBERALE”. LE TECNICHE IMPERIALISTE PER L'EGEMONIA CULTURALE
Il primo volume della collana “Storia del Socialismo e della Lotta di Classe”. Uscito nelle librerie nel gennaio 2019 al costo di 25 euro; Per info sull’opera e sull’acquisto clicca qui.