COSA CI DICE IL RISULTATO ITALIANO ALLE ELEZIONI EUROPEE

Giu 11, 2024 | articolo

Il primo dato eclatante è che per la prima volta nella storia repubblicana di questo Paese, l’affluenza ad un’elezione di carattere nazionale è minore del 50% (49,69%; 48,21% se si considera anche gli italiani all’estero). Più di un cittadino su due non ha ritenuto utile e necessario recarsi alle urne. Il dato andrebbe scomposto ulteriormente, dato che, mentre l’Italia settentrionale e centrale viaggia tra il 52 e il 55% di affluenza, nel Sud questa precipita al 43% e nelle isole addirittura al 37%, ricordando le conseguenze della crisi sulla perdurante e aggravata “questione meridionale”.

La tendenza all’astensionismo prosegue ormai inarrestabile da decenni e costituisce un motivo profondo di sfiducia e denuncia silenziosa nei confronti della “democrazia liberal-borghese”. Ha sicuramente pesato in particolar modo la natura profondamente antidemocratica dell’UE, i cui membri del Parlamento europeo hanno un potere molto limitato rispetto agli organismi, non eletti, che decidono realmente sulle politiche continentali, ma la di là di una minoranza che ha scelto coscientemente di astenersi per non legittimare le attuali istituzioni europee, il dato centrale è l’aggravamento dello scollamento tra la società civile e la sfera della politica.

Per una parte ormai maggioritaria della popolazione la politica, non solo quella borghese, non viene più percepita utile a risolvere i propri problemi personali e collettivi.

Il circo barnum della politica italiana tende ad ignorare questo fatto e sbandiera percentuali più o meno trionfanti, ma il Paese reale ci dice che solo 13 italiani su 100 aventi diritto hanno dato la propria fiducia a Fratelli d’Italia, il partito più votato; solo 11 su 100 per il Partito Democratico e meno di 5 su 100 per i M5S, Lega, Forza Italia. AVS ha convinto 3 cittadini su 100. Di fatto solo il 40% degli italiani aventi diritto di voto troveranno rappresentanza istituzionale nel Parlamento Europeo, mentre il restante 60% ne rimane escluso anche a causa di una legge elettorale antidemocratica che pone uno sbarramento assurdo al 4%.

Fatta questa premessa, si possono confrontare i risultati dei votanti, principalmente con le elezioni Politiche del 2022 e, laddove utile, con le Europee del 2019.

Partendo dalle forze di governo: Fratelli d’Italia ottiene circa 6,68 milioni di voti (28,77%); rispetto al boom del 2022 perde circa 700 mila voti, in maniera significativa stante la prosecuzione delle politiche intraprese da Draghi (guerra in Ucraina compresa). Forza Italia ottiene circa 2,23 milioni di voti (9,62%), sostanzialmente stabile rispetto ai 2,35 del 2019 e ai 2,27 del 2022, confermando che la sua forza attuale non risiede nella persona in sé di Berlusconi, quanto nel suo impero economico e mediatico. Nonostante il boom di preferenze per Vannacci (mossa azzeccata dal punto di vista di Salvini) la Lega ottiene circa 2,09 milioni di voti (9,01%) perdendo circa altri 400 mila elettori rispetto al 2022, proseguendo così un declino che accentuerà i mal di pancia delle opposizioni interne. Complessivamente le forze riconducibili al centro-destra perdono oltre 1 milioni di voti rispetto al 2022, ma rimangono maggioranza relativa nel Paese, con quasi 11 milioni di votanti complessivi, che su 49 milioni di aventi diritto di voto, significa poco più di 1 italiano su 5.

Riguardo all’opposizione: il Partito Democratico ottiene 5,59 milioni di voti (24,08%), perdendone circa 500 mila rispetto al 2019 ma recuperandone 130 mila rispetto al 2022, il che può far parlare alla Schlein di una parziale vittoria, essendo una delle poche forze a crescere non solo in percentuale ma in termini assoluti. Il M5S ottiene 2,32 milioni di voti (9,98%), praticamente la metà rispetto ai 4,56 milioni presi nel 2019 e ai 4,33 del 2022. È la forza politica che perde di più in tutta la tornata elettorale. Probabilmente una parte di questi voti persi è confluita sull’Alleanza Verdi e Sinistra, che è la vera sorpresa delle elezioni, conquistando 1,57 milioni di voti (6,75%), ossia mezzo milione di voti in più rispetto al 2022 (e perfino rispetto al 2019, quando Sinistra e Verdi avevano corso in due liste distinte). Fratojanni e Bonelli hanno azzeccato la scommessa di candidare la Salis, altra protagonista nella raccolta delle preferenze: è significativo che ciò sia avvenuto per un caso mediatico (contrapposto idealmente a Vannacci) costruito dall’alto, premiando un’azione piuttosto che parole, discorsi e programmi. Complessivamente però rispetto al 2022 il centro-sinistra perde più voti (-1,3 milioni) rispetto al centro-destra: un dato importante che evidenzia la dilatazione delle crepe nel regime e la vacuità dell’opposizione al governo, incapace di distinguersi in maniera significativa sui temi sociali e della guerra.

Fuori dai due blocchi rimangono escluse tutte le altre forze: sia i poli centristi che le forze più o meno “antisistema”.

La lista Stati Uniti d’Europa (Renzi, Bonino, PSI, ecc.) conquista 876 mila voti (3,77%) mentre Azione – Siamo Europei ne prende 779 mila (3,35%). La divisione delle due forze impedisce loro di ottenere rappresentanza istituzionale, e probabilmente contribuisce all’indebolimento di un’area di elettorato molto più ampia, che nel solo 2022 sfiorava i 3 milioni di voti. Complessivamente la progettualità liberal-centrista europeista si dimezza, anche se mantiene un bacino superiore quasi del doppio rispetto al 2019.

Nell’area della “sinistra radicale” il progetto Pace Terra e Dignità di Santoro conquista 513 mila voti (2,2%), poco più dei 400 mila che avevano votato Unione Popolare nel 2022, anche se il dato non è sovrapponibile. Ai quadri e militanti del PRC, che hanno reso possibile il progetto, c’è da chiedere se valesse la pena distruggere Unione Popolare per ottenere un guadagno così scarno.

Nell’area del “dissenso” le cose vanno ancora peggio: nonostante la ventina di sigle raggruppate (spazianti da leghisti, sovranisti, autonomisti e vari), la lista Libertà si ferma a 285 mila voti (1,22%), con un guadagno minimo rispetto ai 212 mila presi nel 2022 dal più chiaro progetto Sud chiama Nord di Cateno De Luca.

Disastroso il risultato di Democrazia Sovrana Popolare, che prende 35 mila voti (0,15%). Rizzo e Toscano hanno la scusante di essere stati presenti solo nella circoscrizione centrale, ma anche scomponendo il dato la percentuale aumenta solo allo 0,75%. Si nota facilmente l’arretramento complessivo di tale progettualità sia rispetto al risultato di Italia Sovrana e Popolare (348 mila voti nel 2022) sia rispetto al risultato del Partito Comunista nel 2019 (235 mila voti complessivi, 69 mila cinque anni fa nella sola circoscrizione dell’Italia centrale e 1,25%, se vogliamo limitarci ad un confronto nelle sole regioni in cui DSP era presente). La liquidazione di fatto del Partito Comunista per puntare ad un soggetto spostato a destra che ha abbandonato la discriminante antifascista e ha aperto ad Alemanno (e persino ad un liberista e sostenitore di Israele come Bandecchi), ha portato a questa clamorosa débacle. Non ci aspettiamo che il gruppo dirigente faccia autocritica, ma speriamo che quei pochi compagni validi rimasti al suo interno (del PC ma anche di DSP) prendano consapevolezza del totale fallimento di tale progettualità e portino le proprie energie al servizio di un percorso alternativo ma necessario.

Si tratta per noi ora del difficile compito di lavorare alla costruzione di un’alternativa politica capace di rivolgersi in tre direzioni:

1) La vasta area dell’astensionismo, che costituisce un mare aperto in cui navigare ed in cui si può essere credibili solo costruendo un programma antitetico all’UE e alla NATO, oltre che alle politiche neoliberiste.

2) Per far presa su questo settore sociale, estremamente eterogeneo, bisogna denunciare il fallimento della “seconda repubblica” e del suo finto bipolarismo. Il recupero della sovranità nazionale e popolare sono condizioni essenziali per costruire una terza repubblica popolare: una proposta che non può essere portata avanti dai soli comunisti, ma che deve aprirsi a tutti coloro che hanno compreso la necessità di superare l’attuale modello istituzionale ed economico. I migliori programmi hanno però bisogno di rapporti di forza adeguati per diventare credibili e attrattivi. Serve quindi costruire un vasto fronte sociale e politico antimperialista che non rinunci, per elemosinare qualche voto moderato inesistente, a denunciare chiaramente la natura antidemocratica e impopolare della NATO e dell’UE, i due simboli relativamente delle politiche di guerra e di massacro sociale.

3) Un simile fronte può funzionare solo in presenza di una direzione comunista adeguata, capace di mantenere la rotta senza sbandamenti e di indirizzare il movimento attraverso un radicamento esteso di quadri e militanti che sappiano raccogliere e far lavorare proficuamente i singoli delusi che non intendono arrendersi. Occorre in tal senso portare avanti l’offensiva unitaria delle residuali forze comuniste di questo Paese, che seppur ridotte a poche migliaia di persone sono premessa indispensabile per fare massa critica e calamitare attorno a sé altre forze ancor più disorganizzate e confuse e singoli rassegnati e ritirati a vita privata.

Per tutte queste ragioni e per dare forza a questa progettualità invitiamo tutti i compagni e le compagne a iscriversi a Resistenza Popolare.

(A cura della Direzione Nazionale di Resistenza Popolare)

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