DALLA STORIA DELL’URSS AI COMPITI ODIERNI

Nov 11, 2018 | articolo

Relazione per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, ad un’iniziativa pubblica organizzata dalla sezione livornese del PCI

 

 [pubblicato anche su Marx21]

Livorno, 7 novembre 2018

I MERITI STORICI DELL’URSS

Oggi siamo qui a ricordare uno dei più grandi eventi della Storia dell’Umanità. Chiunque abbia onestà morale non può non riconoscere gli enormi meriti storici della Rivoluzione d’Ottobre e i grandi successi conseguiti dallo Stato Socialista dei Lavoratori, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Possiamo ricordare alcune delle conquiste ottenute: il raggiungimento della parità piena tra uomo e donna e la messa in discussione del maschilismo patriarcale, la messa in discussione del razzismo, l’abolizione della schiavitù e della segregazione razziale, la dimostrazione che un’altra società, diversa da quella capitalistica, è possibile. Il sostegno attivo, politico, militare ed economico, alla decolonizzazione nel mondo è clamorosamente inedito a livello storico. Nel giro di pochi decenni sono stati spazzati via imperi le cui fondamenta erano state gettate 500 anni prima. Il mondo e l’umanità sono passati da una tirannica guida bianca ed eurocentrica (il mondo fino alla Seconda Guerra Mondiale) ad uno scontro aperto tra due sistemi antitetici. In questo conflitto il sistema capitalistico in Occidente non si è dovuto moderare solo nei rapporti tra Capitale e Lavoro, ma ha dovuto accettare la categoria dei diritti sociali e dei diritti umani, nati formalmente con le costituzioni e le dichiarazioni antifasciste conseguenti al 1945. Tanti altri enormi meriti storici ha avuto il socialismo nel ‘900, dimostrandone la superiorità nel garantire un progresso e uno sviluppo del genere umano. È bene però qui dire ora due parole sulla Storia con cui sono stati ottenuti tali risultati.

L’IMPERIALISMO CONTRO L’ESPERIMENTO PROLETARIO

L’URSS fu creata grazie agli sforzi e ai sacrifici incommensurabili dei proletari e dei popoli compresi nell’ex Impero Russo, che grazie alla direzione politica del Partito Bolscevico, illuminato dal genio di Lenin, poterono prima conquistare il potere politico con una Rivoluzione, poi riuscirono a respingere la Controrivoluzione aristocratico-borghese capeggiata dalle Armate Bianche zariste e da contingenti militari di 15 Stati invasori, tra cui anche l’Italia. Questa guerra è stata riduttivamente chiamata “civile”, a causa dei suoi circa 7 milioni di morti, ma la primaria responsabilità di tale conflitto va alla Francia e all’Inghilterra, che hanno tentato con ogni mezzo possibile di distruggere sul nascere quell’esperimento rivoluzionario proletario, come le classi dominanti avevano distrutto sul nascere la Comune di Parigi nel 1871 dopo appena tre mesi di esistenza.

DAGLI ORRORI DELLA “GRANDE GUERRA” ALLA TERZA INTERNAZIONALE

In questo contesto i bolscevichi costruirono nel 1919 la Terza Internazionale, il COMINTERN, lanciando l’appello a tutti i popoli coloniali del mondo a spezzare le proprie catene, e a tutti i lavoratori d’Europa ad imbracciare i fucili per “fare come in Russia” e conquistare il potere politico. Sono gli anni in cui si esce dalla Prima Guerra Mondiale, un “massacro inutile” che ha falciato 10 milioni di vite proletarie, azzoppandone o mutilandone almeno altri 20 milioni. Nient’altro che un prodotto dell’imperialismo. L’influenza dell’esempio vittorioso della Russia spinge gli altri popoli europei ad intensificare le manifestazioni, gli scioperi, addirittura le occupazioni delle fabbriche e dei luoghi di lavoro; interi reparti militari si rivoltano e non obbediscono più ai Governi borghesi. In Ungheria i comunisti prendono il potere ma vengono distrutti sul nascere dalla reazione borghese. Non riescono i tentativi rivoluzionari in Germania sostenuti dalla Lega di Spartaco e poi dal Partito Comunista con la spinta del COMINTERN.

LA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

In Italia, anche su impulso dell’Ordine Nuovo guidato da Antonio Gramsci, la parte più cosciente del movimento operaio arriva ad intensificare più volte lo scontro con occupazioni di fabbriche e armamento degli operai – venne occupata anche la FIAT)1 – ed episodi pre-insurrezionali che non diventano rivoluzionari solo per l’attendismo, la moderazione e l’incapacità politica dei vertici sindacali, la CGL a guida “riformista”, e politici, il PSI in mano ai “massimalisti”. I comunisti in Italia nascono in quel momento, dalla scissione di Livorno del 21 gennaio 1921, per adempiere alla necessità storica di far uscire il Paese dalla crisi attraverso una Rivoluzione Socialista, in mancanza della quale sarebbe stata inevitabile, così prevedeva Gramsci, la dura reazione borghese, la quale iniziava già ad organizzarsi. La Chiesa e Confindustria furono più rapidi però nel favorire l’ascesa del movimento fascista, ideale per stroncare sul nascere la minaccia bolscevica a suon di squadracce e manganelli.

GLI ANNI ’30 TRA CONFLITTI E SUCCESSI

Fallita temporaneamente la rivoluzione su scala mondiale, il popolo sovietico ha dovuto imparare ad adattarsi al nuovo contesto non previsto, aggiornando la teoria rivoluzionaria in parallelo al rafforzamento dello Stato socialista e delle forze produttive. Il Partito di quadri rivoluzionari di professione si era dimostrato il modello giusto per prendere il potere, ma si trattava ora di imparare l’arte dell’amministrazione e del compromesso, cose per le quali una gran parte del Partito si dimostrò inadeguato. I rischi derivanti dell’accerchiamento e dal contesto internazionale minaccioso obbligarono il Partito ad abbandonare la NEP, concepita da Lenin per avviare uno sviluppo graduale ed equilibrato delle forze produttive. Stalin fu il primo, fin dalla fine degli anni ’20, a capire che occorreva una rapida industrializzazione del Paese per far fronte alle minacce guerrafondaie dell’imperialismo e ottenne il risultato accelerando in pari tempo la costruzione del socialismo. Ne seguirono accesi conflitti politici e sociali interni, che ebbero come conseguenza anche una carestia certamente non voluta, come è stato invece sostenuto da parte della storiografia borghese. Nel complesso però tutti gli economisti riconoscono che gli anni ’30 furono il periodo di un impetuoso sviluppo industriale, grazie alla grandezza della pianificazione economica. La pianificazione della macro-economia, posta sotto controllo della classe operaia e della sua avanguardia politica, dimostra come l’economia socialista possa funzionare perfino meglio dei più floridi modelli capitalisti, cosa che in effetti sarà confermata da altri esempi storici, tra cui i più brillanti in termini quantitativi sono stati quelli della Jugoslavia e la Cina.

IL CASO DEL TROCKISMO

In questi anni, i ’30s, maturano però anche gravi dissidi interni al Partito, che ebbero conseguenze rilevanti anche a livello internazionale: le opposizioni politiche interne, sconfitte sulla linea politica da seguire, si coalizzarono cercando in ogni maniera di eliminare la direzione politica del Paese, capeggiata da Josif Stalin. Il grande complotto che ne seguì oggi è dimostrato dalle più recenti ricerche storiche2, e intendo con ciò anche la veridicità dei risultati giudiziari emersi nei Processi di Mosca, peraltro creduti veri al tempo perfino dall’ambasciatore statunitense Davies. Trockij, uno degli eroi della Rivoluzione d’Ottobre, non ha disdegnato, una volta messo in minoranza ed infine espulso dal Partito a seguito di una serie di continue gravi provocazioni, di collaborare tatticamente con i nazisti tedeschi per organizzare la caduta di Stalin. Nella logica di Trockij ciò significava “salvare” la Rivoluzione, quando in realtà ne sarebbe conseguita la sua prematura fine. Un piano sciagurato messo in atto attraverso l’elaborazione di una fitta rete clandestina arrivata a coinvolgere ministri del Governo Sovietico e personaggi di primissimo piano nel Partito.

LE CAUSE DELLE “GRANDI PURGHE”

La scoperta di tale congiura ha portato al dramma delle Grandi Purghe, cioè all’assassinio di centinaia di migliaia di onesti comunisti in una serie di esecuzioni orchestrate a tavolino dal capo dell’NKVD Ezov, un criminale che trasformò un ordine politico di 75 mila arresti preventivi, a cui svolgere un processo, in una carneficina di oltre 500 mila esecuzioni. C’è anche Chruscev a partecipare al gioco dei burocrati locali che, per salvarsi il posto, iniziano a denunciare i veri bolscevichi, così da rafforzare la propria immagine con Mosca e al contempo consolidare la propria posizione sulla propria sezione territoriale del Partito.

I LIMITI DEL PARTITO E LO STATO D’ECCEZIONE

Anche in questo caso si era verificato il problema già segnalato da Lenin in uno dei suoi ultimi discorsi del 1922:
“In pratica avviene molto spesso che qui, in alto, dove abbiamo il potere statale, l’apparato bene o male funziona: ma in basso, dove comandano loro, spadroneggiano in modo tale, che, spesso, agiscono contro i nostri provvedimenti. In alto abbiamo non so quanti, ma penso ad ogni modo soltanto alcune migliaia, al massimo alcune decine di migliaia di elementi nostri. Ma in basso abbiamo delle centinaia di migliaia di vecchi funzionari, ereditati dallo zar e dalla società borghese, che lavorano, parte coscientemente e parte incoscientemente, contro di noi.”3
Emerge qui il problema dell’inadeguatezza e dell’insufficienza dei quadri locali di Partito, una costante dell’intera storia sovietica che rientra nel problema complessivo del ricambio degli organismi dirigenti. Quando furono scoperti gli eccessi, Ezov venne rimosso dall’incarico, e dopo un rapido processo venne condannato a morte per aver fatto parte della “grande congiura” tesa a far cadere con ogni mezzo il Governo. Ad uscire notevolmente scosso e indebolito da questa tragedia è stato lo stesso movimento comunista internazionale, non mancando Trockij di una serie di legami internazionali con cui ha costruito l’effimera Quarta Internazionale. Quest’ultima negli anni della Seconda Guerra Mondiale sarà pesantemente infiltrata da elementi riconducibili ai servizi segreti nazisti. Occorre ricordare che in quello scontro così violento molti compagni caddero innocenti, ma non per la follia di un dittatore sanguinario, come è stato detto, bensì in primo luogo per l’impossibilità di poter uscire da un costante stato d’eccezione e di emergenza, per superare i quali si è avuta come conseguenza la frequente sospensione effettiva di uno Stato di diritto. Invito su questi temi a confrontare quanto scritto da Domenico Losurdo.

IL TRATTATO DI NON-AGGRESSIONE TRA URSS E GERMANIA

Parliamo del Patto di non aggressione tra URSS e Germania del 23 agosto 1939. Tutti i comunisti coscienti sapevano che quel patto aveva avuto perfettamente senso4: l’espansionismo imperialista della Germania nazista era stato sapientemente diretto (in particolar modo dalla politica estera inglese) verso il proprio “spazio vitale” naturale, ossia a est. Caddero in mani nazifasciste nel giro di 4 anni Etiopia, Spagna, Austria, Cecoslovacchia e Albania, sorsero ovunque in Europa regimi autoritari e reazionari, e nessuna “democrazia liberale” fece nulla per opporsi. I Sovietici sapevano che dopo la Polonia sarebbero rimasti solo loro e presero saggiamente tempo prezioso per prepararsi alla guerra di difesa. Quando soltanto una settimana dopo la Germania invase la Polonia, stavolta Francia e Inghilterra dichiararono guerra. Forse avevano cominciato a sospettare, dopo quel patto, che Hitler non avrebbe assolto al ruolo storico per cui era stato sostenuto, cioè distruggere l’esperimento nefasto dell’Unione Sovietica. Una clausola segreta del trattato Molotov-Von Ribbentrop prevedeva la spartizione della Polonia. Che cos’era successo? Stalin aspettò più di due settimane dopo l’invasione tedesca, per vedere se la Polonia sarebbe stata in grado di resistere, ma la situazione fu fin da subito compromessa, tant’è che nel giro di una settimana l’esercito polacco era stato annientato dalla Wehrmacht. Fu solo a quel punto che l’URSS invase la parte orientale della Polonia, ripristinando i confini del Paese precedenti all’ingiustificata aggressione polacca del 1920-21. Con questa mossa impedì ai tedeschi di raggiungere direttamente il confine con l’URSS. Stalin era inoltre consapevole che quei 200-300 km in più di territorio sarebbero stati utilissimi in previsione dell’inevitabile guerra con la Germania. Il fallimento dell’Operazione Barbarossa mostra che il ragionamento fu giusto.

DA CHRUSCEV AL TRIONFO DEI REVISIONISMI

Non mi è possibile qui fare una cronistoria dettagliata di tutta la storia sovietica. Mi sembrava opportuno dare alcuni spunti ancora poco noti sulle falsità raccontate dalla borghesia e soprattutto da Chruscev nel 1956, quando al XX Congresso di Mosca diede avvio alla destalinizzazione raccontando un sacco di menzogne per eliminare i leninisti più integri dagli organismi dirigenti del Partito. A seguito di tale operazione avviò una politica di distensione con l’imperialismo occidentale (la reinterpretazione della “coesistenza pacifica”), reintrodusse la proprietà privata nelle campagne e distrusse il COMINFORM, la cui costituzione si era resa necessaria nel 1947 per coordinare il movimento comunista europeo dopo la liquidazione, fatta per ragioni tattiche nel 1943, del COMINTERN. Da lì iniziò un revisionismo che, unito ad una serie di errori contingenti e alla prosecuzione ininterrotta della strategia di assedio mantenuta dall’occidente imperialista, portò infine non solo al crollo non solo dell’URSS, ma anche alla disgregazione del movimento comunista internazionale. Tante sono le cose che andrebbero aggiunte, specie per approfondire le cause del crollo dell’URSS. Non si può in questa sede dire tutto.

UNA NUOVA STORIA DEL SOCIALISMO

La necessità di riscrivere completamente la storia dell’ultimo secolo è stato il motivo che mi ha spinto a lavorare all’opera In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo, che ho pubblicato ormai quasi un anno fa gratuitamente sul web, per consentire a tutti, anche a chi ha difficoltà economiche, di accedere a tali materiali. Ora, a distanza di un anno uscirà in formato cartaceo il primo di dieci volumi di una collana intitolata Storia del Socialismo e della Lotta di Classe con cui si rielaborerà e migliorerà l’opera. Per riuscire a realizzarla abbiamo avviato una raccolta fondi, tuttora in corso, assieme alla casa editrice La Città del Sole. Gli ultimi sviluppi e l’interesse suscitato dal progetto fanno sperare che continuerà ad essere collettivo. Forse riusciremo a farci lavorare sopra le migliori menti di questo Paese. Non si tratta quindi di pubblicizzare un mio progetto personale, ma di raccogliere le forze su un’operazione di tipo strategico: smontare definitivamente e una volta per tutte anzitutto in ambito scientifico e accademico, ma anche popolare, l’idea che il comunismo sia stato un’esperienza terrificante e fallimentare.

L’ASCESA DELLA CINA E IL DECLINO DEGLI USA

È vero che i Paesi socialisti e i Partiti comunisti sopravvissuti al 1991 sono rimasti da allora orfani non solo di un Paese guida, ma perfino di un organismo dirigente Internazionale. Eppure, in questo quadro di apparente sconfitta, possiamo trovare motivo di orgoglio e speranza non solo per le conquiste passate ma anche i segnali, sempre più evidenti, della rinascita attuale. Se in Europa, e ancor più in Italia, il movimento comunista appare in grande difficoltà, non altrettanto si può dire infatti su scala mondiale. Stiamo assistendo alla profonda crisi di egemonia dell’Impero degli Stati Uniti d’America. L’URSS e i comunisti nel ‘900 sono stati capaci di distruggere il colonialismo esplicito, obbligando gli Occidentali a governare indirettamente sulla gran parte del mondo, attraverso le multinazionali, le grandi istituzioni finanziarie internazionali e l’uso spregiudicato della forza militare più o meno occulta. In questo scontro di proporzioni mondiali alcuni Stati sono riusciti ad emanciparsi dall’imperialismo. Il più importante tra essi è senza dubbio la Repubblica Popolare Cinese, anch’essa figlia della lezione dell’Ottobre Rosso. Lungi dall’essere diventato un Paese capitalista, la Cina è oggi la prima potenza economica mondiale, ed è saldamente guidata dal Partito Comunista Cinese, che non rimane solo fedele ai propositi della costruzione del socialismo (inizio programmato intorno al 2050), ma opera attivamente per migliorare il tenore di vita delle classi lavoratrici sia a casa propria che nel resto del mondo. Oggi la povertà non esiste più in Cina. In 30 anni di sviluppo, oltre 700 milioni di persone sono state sottratte a questo flagello sociale che ha ripreso invece nuova intensità distruttiva in Occidente grazie alle politiche liberiste classiste. La stagione del neoliberismo ha distrutto il compromesso sulle linee keynesiane che aveva distinto i regimi “liberali” fino agli anni ’70. In questo senso anche in Italia il neoliberismo, ossia il ritorno in grande stile dell’imperialismo classico, ha distrutto il compromesso della Costituzione Repubblicana di Togliatti, dichiarando guerra al mondo del Lavoro. Se noi italiani abbiamo subito questa offensiva accumulando sconfitte, la Cina sta invece smantellando alla radice il potere dell’imperialismo statunitense, agendo non per via militare ma economica, avviando con tutto il cosiddetto “Terzo Mondo” una cooperazione economica e commerciale pacifica provvidenziale. In questa maniera poverissimi Stati africani, asiatici e americani possono sottrarsi alle richieste neocoloniali dell’Occidente, avviando un proprio sviluppo strategico di lunga durata che può condurre all’emancipazione reale di Stati e dei loro popoli da Washington. L’Impero Statunitense è quindi in declino.

GUERRA E TOTALITARISMO “LIBERALE”

Quando un Impero è in declino, non cede facilmente il proprio terreno, anzi inizia a dimenarsi il più possibile e con ogni mezzo per restare vivo. Per questo non è da escludere totalmente una guerra di proporzioni catastrofiche, con conseguenze inimmaginabili per quella stessa Europa che vanta 70 anni di pace, dimenticando che guerre neocoloniali e imperialiste si sono combattute in Jugoslavia e si combattono tuttora in Ucraina. Di tutto ciò non c’è sentore nella società italiana, spesso e volentieri nemmeno tra alcuni comunisti. Ciò avviene a mio avviso perché l’offensiva del Capitale è stata capace di liquefare le nostre organizzazioni fondate almeno dagli anni ’70 su un marxismo troppo “occidentale”, revisionista e inadeguato, che non solo non ha saputo rispondere storicamente all’attacco subito dal mondo del Lavoro, ma che ha scoraggiato ogni forma di lotta sociale. La forza della borghesia è stata tale da trasformare il proprio sistema attuale, la “democrazia liberale”, in un modello ideale, naturale ed eterno, capace di attuare un controllo sociale di stampo semi-totalitario. È questo il tema del primo volume della collana sulla Storia del Socialismo. Il libro sarà dedicato all’analisi della nostra società, che definisco un modello storicamente inedito di totalitarismo “liberale”. Un regime che si basa su un raffinato intreccio di tecniche imperialiste per mantenere l’egemonia culturale. Dopo aver mostrato come l’imperialismo ci abbia dominato culturalmente presenterò una ricostruzione di come si sia svolto questo processo nell’ambito della lotta anti-comunista sul fronte culturale, rilanciando la necessità di una “revisione” della storia sovietica, del movimento comunista internazionale e del socialismo. Abbiamo la necessità di rianalizzare il marxismo-leninismo e di aggiornarlo analiticamente alla nostra epoca storica. Ciò necessiterà di tempo, ma non è opera impossibile da farsi. Si tratta di mettere a frutto l’accumulo di dati raccolti finora, integrarli con nuovi materiali e avviare un’elaborazione che seguirà di pari passo. Tra sei mesi, dopo questo primo volume, seguirà il volume in cui si farà chiarezza sulla storia dell’URSS e dell’Europa dal 1917 al 1945. Le cose che ho anticipato non sono che una piccola parte di quel che vi troverete.

L’OBIETTIVO STRATEGICO SUL FRONTE CULTURALE

Questa operazione editoriale non basterà ad invertire la tendenza anticomunista presente nella società, data la debolezza delle organizzazioni comuniste. Queste opere serviranno però per seminare nuove generazioni e futuri quadri per il Partito che verrà. Dopo il grande reflusso ormai trentennale abbiamo in Occidente gli strumenti per incrinare la narrazione dominante della borghesia. Si tratta solo di usarli. Questo obiettivo è strategico, perché consente di spezzare alla radice l’idea negativa sul comunismo oggi dominante nel senso comune. Solo spezzando questo pregiudizio alla radice sarà possibile ricostruire con maggiore facilità un rapporto di fiducia e di affinità sentimentale con il movimento operaio e il complesso delle forze proletarie d’Italia. Non sto affermando che la lotta militante fatta nei luoghi di lavoro e nelle piazze debba essere abbandonata. La lotta politica ed economica sono aspetti basilari che devono caratterizzare i comunisti. Quello di cui mi stupisco è che tuttora molte organizzazioni comuniste non capiscano l’importanza basilare di sostenere questa battaglia che può diventare la punta della lotta di classe sul fronte culturale, forse non solo in Italia, ma a livello internazionale. Ci accingiamo a pubblicare su carta stampata la verità sul comunismo e sui tremendi crimini dell’imperialismo. Credo sia nell’interesse reciproco di tutti i sinceri comunisti sostenere una tale impresa. È il mio invito a tutte le organizzazioni comuniste, italiane e non, a sostenere l’impresa con i mezzi di cui si dispone.

ATTUALITÀ DEL SOCIALISMO E FATTORE SOGGETTIVO

In conclusione: oggi il socialismo rimane l’unico modello di società capace di offrire diritti e libertà per tutti, senza far ricorso allo sfruttamento dell’uomo e della donna, siano essi bianchi o di colore. Ci sarebbero le condizioni materiali in Italia per costruire il socialismo? Si, ci sarebbero, visto che nonostante tutto l’Italia rimane una grande potenza industriale. Cosa manca? Il fattore soggettivo. Gli sfruttati non sanno di esser tali, oppure vogliono diventare loro stessi i padroni. L’approdo Ad una rudimentale coscienza di classe operaia, agli esordi dell’industrializzazione, è un processo che ha richiesto decenni di elaborazione teorica e lotte individuali. All’epoca le masse proletarie erano animate da un maggiore ribellismo di base nella propria coscienza, a causa delle terrificanti condizioni di vita di regimi assai poco “liberali”, per quanto guidati da politici che si dicevano tali. L’emancipazione delle menti, la capacità di radunarle e farle ragionare assieme, è cosa che ha richiesto anni e tante energie, tanto sangue.

IL CERVELLO DI LENIN

L’affinamento della teoria, si è realizzato, tra i successori di Marx e Engels, più di tutti in Lenin. Il dato non era casuale. Lenin si era formato direttamente sui testi di Marx e di Engels, traendone fecondi insegnamenti e i princìpi che ci caratterizzano in quanto comunisti. Lenin aveva appreso perfettamente la lezione del materialismo storico e dialettico, utilizzandoli costantemente come metodi analitici e chiavi di lettura determinanti per decifrare la realtà circostante. Lenin era riuscito a tappare anche alcuni buchi teorici, approfondendo problemi inediti o non sufficientemente sviluppati da Marx ed Engels. Tra questi si possono ricordare l’organizzazione del Partito, l’analisi dell’imperialismo, la costruzione concreta del socialismo, lo sviluppo del concetto della “dittatura del proletariato”, la questione dell’egemonia, lezioni sulla tattica e sulla strategia, l’antidogmatismo e la difesa del materialismo dialettico, l’arte del compromesso, e tanto altro. A questi problemi Lenin ha saputo dare la migliore risposta teorica e politica possibile. In tal senso questa lezione assume davvero un valore storico. Studiare Lenin significa vedere un cervello in movimento, sempre capace di passare dalla teoria alla realtà, adattando volta per volta la tattica politica. Naturalmente anche Lenin ha fatto i suoi errori, come li fanno tutti i dirigenti comunisti. I fondamentali che ci ha lasciato restano ancor oggi nella gran parte validi, ma necessitano di un aggiornamento storico: non poteva Lenin immaginare la brutalità del nazifascismo, l’avvento della bomba atomica, la possibile degenerazione ideologica di un partito di massa incapace di costruirsi un ricambio generazionale adeguato, e tutti gli sviluppi dell’ultimo secolo. Un marxista d’altronde trae le proprie conclusioni dall’analisi del presente, non solo del passato. Così lavorava Lenin, così dovrebbero lavorare ancora i comunisti. Oggi abbiamo un bagaglio di conoscenze ulteriori che ci permettono di capire come risolvere il problema del fattore soggettivo. Avremo d’ora innanzi la legittimità di tornare a parlare nelle pubbliche piazze di socialismo e comunismo senza doverci vergognare o intimorire. Naturalmente tutto questo dipenderà soprattutto da noi, da quello che riusciremo a fare, un passo per volta. Potrebbero volerci anni, forse decenni, per vedere rinascere un’organizzazione adeguata del movimento comunista italiano. Credo che non dobbiamo scoraggiarci per questo.

STUDIARE, RESISTERE, PREPARARSI ALL’OFFENSIVA

Mi avvio alla conclusione. Userò ora spesso il verbo “Resistere”. La cosa è voluta. Io credo che il nostro compito in questa fase storica sia di Resistere e non andare a casa. Mantenere la militanza ovunque la si svolga, rafforzando ogni giorno che passa la propria coscienza proletaria e cercando di Resistere, tra le batoste e le sconfitte, che arriveranno certamente ancora per diverso tempo. Può sembrare un compito poco gratificante ma è in realtà un dovere storico: si tratta di preservare un tessuto sociale organizzato capace di impedire il trionfo totale del totalitarismo “liberale”. Siamo ad un passo dalla scomparsa in Italia. Serve uno scatto in avanti, che non si può trovare se non con una chiarezza politica sulle questioni dell’UE e della NATO. Bisogna aver chiara la consapevolezza che non si può costruire il socialismo stando nelle strutture imperialiste. O c’è il socialismo, o c’è l’imperialismo. Occorre dire forte e chiaro che i comunisti italiani vogliono l’uscita dell’Italia dalla NATO e dall’Unione Europea, ossia le strutture imperialiste più importanti oggi esistenti. Solo con una linea di classe di lotta aperta e chiara sarà possibile convincere compagni e compagne, nuovi e vecchi, ad attuare la scelta della militanza politica. È importante comprendere questo aspetto: se non cambiamo rotta subito rischia di crollare questo tessuto organizzativo. Sarà quindi ancora più difficile, un “domani”, una possibile ricostruzione. Questo credo che sia quindi il nostro compito oggi: studiare, Resistere e prepararsi a passare all’offensiva non solo sui fronti politico ed economico della lotta di classe, ma anche su quello culturale: i libri e la libera circolazione delle idee – libertà di cui ancora disponiamo -, con l’obiettivo strategico di riconquistare l’egemonia culturale nel campo variegato della “sinistra” e nella stessa classe lavoratrice.

Alessandro Pascale

 

NOTE

1 Su questo episodio è splendido il primo episodio dello sceneggiato RAI “Vita di Antonio Gramsci” (1981) diretto da Raffaele Maiello. Sono consigliabili anche gli altri tre episodi sapendo che sull’ultimo si può obiettare che l’idea di un Gramsci ormai refrattario verso la presa violenta del potere non corrisponda alla realtà (tale dato non emerge dagli scritti), quanto piuttosto dalla rilettura e rappresentazione artificiosa datane dal PCI di Togliatti e poi di Berlinguer, cioè di essere stato l’anticipatore e l’ispiratore della “via italiana al socialismo”. Gramsci si riconosceva invece pienamente negli insegnamenti del leninismo, senza mai negare la necessità della dittatura del proletariato e della possibilità di prendere il potere politico anche senza la maggioranza parlamentare del 50%+1.

2 Su questa parte si vedano i capp. 5, 6 in particolare, di A. Pascale (a cura di), “A cent’anni dalla Rivoluzione. In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo”, I edizione, dicembre 1917, disponibile su http://intellettualecollettivo.it/.

3 V. Lenin, Relazione al IV congresso dell’Internazionale comunista, Marx21.it, 13 novembre 1922, disponibile su http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/storia/286-lenin-cinque-anni-di-rivoluzione-russa-e-le-prospettive-della-rivoluzione-mondiale.
4 Su questa si vidaA. Pascale (a cura di), “A cent’anni dalla Rivoluzione”, cap. 10, quello dedicato agli anni ’30 e alla Seconda Guerra Mondiale.

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