LA SCUOLA AI TEMPI DEL CORONA-VIRUS

Mag 24, 2020 | articolo

Intervista rilasciata al Partito Comunista del Piemonte dal professor Alessandro Pascale, insegnante di storia e filosofia della scuola secondaria di secondo grado della provincia di Milano, curatore del sito intellettualecollettivo.it e autore presso Marx21.it.
L’intervista è a cura di Marco Leonardi ed è stata pubblicata sulla
pagina facebook dell’organizzazione.

1- Come definiresti la tua esperienza con la DAD? Come ti stai trovando? Hai l’impressione che sia efficace?

Direi che l’impatto è stato ambivalente. Lasciamo da parte l’impreparazione complessiva che c’è stata nelle scuole e tra il corpo docente (me compreso), sia per la mancanza diffusa di competenze, sia per la difficoltà di adattarsi alla nuova fase. È evidente che non ha molto senso, almeno per certe tipologie di materie, svolgere lezione “normalmente”.

Il primo grande problema è superare lo scoglio di parlare ad un computer piuttosto che ad un gruppo di ragazzi che si possa guardare in faccia. Questo non viene reso possibile dalla DAD, perché nonostante ci siano le possibilità tecniche di svolgere video-conferenze “in presenza”, la dinamica spiacevole del digital divide penalizza gli studenti meno abbienti, o con tecnologie e mezzi meno adeguati. A fronte di una diminuzione netta delle ore (mediamente si svolge tra il 60% e l’80% delle lezioni) tendenzialmente ho sfruttato molto la possibilità di svolgere lezioni frontali brevi (45 minuti) in presenza, ma registrandole anche, di modo che i ragazzi potessero recuperare i contenuti persi in un secondo momento ed eventualmente riascoltarsi la lezione.

Apparentemente questa modalità è molto più pratica per i docenti, permettendo loro di “svolgere il programma” più rapidamente, prestandosi però ad alcune problematiche: anzitutto la fatica fisica maggiore derivante da un lavoro prettamente telematico, fattore comune presente in ogni forma di smart working; sul lato pratico non si può essere sicuri che gli studenti partecipino convenientemente alle attività. Non tutti attivano la videocamera, a causa di problemi socio-familiari o tecnici che in molti casi sono reali, e in altri possono essere frutto di “furbizia” individuale. Impossibile controllare in questi casi, senza una maggiore interazione con le famiglie. L’altro disagio colpisce gli studenti: si sono dovuti adattare ad una modalità alternativa di lavoro che richiede certamente un carico autonomo maggiore, con il rischio paradossale di allungare i tempi di studio e rielaborazione, specie laddove i docenti non rispettino le indicazioni ministeriali.

Ho provato a mettere in campo anche altre modalità: invio diretto di lezioni registrate o di materiali (per lo più letture) da svolgere autonomamente, predisponendo alcune lezioni “dialogate”, anche se pure questa modalità rischia di risultare poco proficua nel caso che gli studenti non svolgano i compiti con regolarità. Si può insomma convivere con la DAD, ma per varie ragioni (tecniche, didattiche e umane), mi sembra inadeguata rispetto alla normale didattica “in presenza”.

2- Uno dei grandi dilemmi del momento è la valutazione, sulla quale non ci sono ancora indicazioni precise. Cosa ci puoi dire al riguardo?

La rivolta generazionale del ’68 ha trasmesso in profondità un’impronta negativa sulla “valutazione”, problematizzandola al punto da rendere estremamente difficile bocciare uno studente. Non sono mancati in questo periodo i docenti che si sono sentiti “liberati” dal peso di dover valutare, approfittandone per sperimentare tecniche didattiche più o meno inedite. Personalmente credo che il momento della valutazione, sotto forma di un colloquio sui contenuti svolti, resti indispensabile, che lo si voglia chiamare “interrogazione” o meno. È indispensabile, tanto quanto lo è dal vivo, perché è un momento di crescita e confronto sia per lo studente che per il docente. È evidente che la DAD non assicura da questo punto di vista la certezza che tali “colloqui”, tesi a verificare non solo la preparazione, ma la stessa partecipazione alle attività, diano risultati adeguati e corrispondenti all’impegno e al lavoro effettivamente svolto dagli studenti. I più capaci e agevolati materialmente possono sicuramente emergere, ma il rischio è di perdere i più deboli, e di veder premiati i “furbetti” che trovano mezzi e trucchetti di ogni tipo per superare le prove. In generale credo che una buona maniera di superare tali ostacoli sia cercare di favorire delle richieste di rielaborazione e riorganizzazione dei contenuti, dando questi ultimi quasi per scontati. In questa maniera si può riuscire a bypassare parzialmente questo problema, favorendo lo sviluppo di abilità e competenze senza uno scadimento della preparazione complessiva.

3- Un rischio che si prefigura per gli anni a venire è che la DAD influenzi la tradizionale didattica. Cosa pensi al riguardo? Quali ricadute ci potrebbero essere nel futuro della scuola?

Il rischio è un calo della preparazione generale degli studenti: si pensi all’impossibilità di esercitarsi adeguatamente negli scritti, su cui non si può avere la certezza che siano frutto del lavoro autonomo dei ragazzi. Al di là però del rendimento didattico, i maggiori problemi mi sembra si pongano sul piano socio-psicologico. La scuola superiore non è solo un luogo di somministrazione di conoscenze e di sviluppo di variegate competenze, ma anche di crescita personale, che in ragazzi dai 16 ai 18 anni non può che svolgersi nell’ambito di una costante relazione con i propri compagni. La perdita delle relazioni umane rischia di favorire processi disgregativi che accentuino le tendenze all’individualismo esasperato e all’alienazione, ossia alla fuga dalla realtà e al sorgere di nevrosi e disturbi di varia tipologia. Il “controllo” e la “tutela” del docente si attenuano enormemente e lo studente si trova improvvisamente libero, con la necessità di responsabilizzarsi autonomamente. Gramsci diceva che «disciplinarsi è rendersi indipendenti e liberi». Lo studente medio può certamente maturare enormemente da un’esperienza del genere, ma anche cadere molto in fretta in mancanza di condizioni ottimali.

4- Come vedi il prossimo anno? A Torino sono cominciate le prove per una didattica mista. Che ne pensi di questa proposta?

Spero caldamente che ad emergenza finita la DAD torni nel cassetto, restando un’opzione alternativa facoltativa, a disposizione dei docenti magari per alcuni progetti particolari, mai però completamente sostitutivi dell’attività in presenza. Quest’ultima resta imprescindibile per garantire la possibilità di aiutare i ragazzi a crescere in maniera più equilibrata e completa.

Se a settembre l’emergenza non sarà finita ci dovremo rassegnare alla didattica mista, il che vorrà dire inevitabilmente una mole di lavoro inedita per i docenti, che dovranno reinventare nuovamente la propria attività, facendo tesoro di quanto appreso in questi mesi. Anche da questo punto di vista servirà sviluppare maggiormente l’ottica della programmazione. Certamente sarà necessario da parte degli enti pubblici e del Ministero un grande sforzo anzitutto economico per eliminare gli inconvenienti del digital divide, garantendo a docenti e studenti gli strumenti tecnici necessari o quanto meno un rimborso che compensi l’uso della connessione internet e dei propri dispositivi individuali (computer, stampante, ecc.). Lo “smart working”, che spesso si concretizza in una mole di lavoro maggiore e più pesante, rischia infatti di risultare una forma ulteriore di sfruttamento anche nel mondo scolastico. La connessione internet a banda larga è tutt’oggi in Italia un privilegio per pochi. Se lo smart working è un dovere, diventa lecito rivendicare il diritto “di connessione”. Si porrebbe quindi la questione di un intervento statale che interessa l’intera classe lavoratrice, non solo i docenti e gli studenti.

5- Quali sono attualmente i rischi corsi dai docenti a livello di privacy? Quali sarebbero in una eventuale didattica mista?

Le indicazioni che sono giunte in tal senso sono state spesso contraddittorie e non mi risulta siano state date indicazioni chiare. Mi sembra che nel complesso ne sia derivata una diffusa anarchia, in cui ogni scuola e docente hanno improvvisato, senza affrontare il problema con norme definitive. Anche in questo campo occorrerà che il Ministero, con la collaborazione dei sindacati, faccia chiarezza per stendere nuove norme comportamentali condivise. Un impianto del genere, fortemente “centralizzatore”, mi sembra che andrebbe però controcorrente rispetto alla tendenza deleteria degli ultimi decenni, propensa a dare maggiore autonomia ai plessi scolastici e ai relativi dirigenti. Sarebbe opportuno mettere in discussione quest’ultima linea, che è stata intrapresa sul modello di una “scuola-azienda”.

6- Se a settembre si volesse ripartire in presenza, magari dividendo le classi, occorre assumere da subito nuovo personale che dia stabilità ad una situazione incerta. I precari della scuola dovranno affrontare presto un concorso straordinario.

Vista la situazione d’emergenza, non credi sia preferibile un concorso per titoli e servizi?

Io a settembre dovrei entrare finalmente di ruolo, dopo una decina d’anni di precariato. Stendo un velo pietoso sul percorso tortuoso che ha riguardato me e che affligge da anni migliaia di docenti, ostacolati in ogni maniera dall’incertezza delle pratiche amministrative. Il fatto che in questo paese non si sia mai riusciti, in 75 anni di repubblica, ad avere una modalità fissa e chiara sul reclutamento scolastico, è un dato strutturale che mi sembra derivi da tre possibili cause, le quali possono essere in una certa misura compresenti: può dipendere da un’incapacità organizzativa cronica a livello ministeriale, aggravata dai tagli e dall’autonomia scolastica, che impediscono al sistema burocratico di funzionare correttamente; può dipendere da un preciso progetto politico di utilizzare il settore “pubblico” come riserva politica di consensi, come faceva una volta la Democrazia Cristiana; può dipendere infine dalla volontà politica, radicata in alcuni settori reazionari, di distruggere la scuola pubblica, eliminando uno degli ultimi bastioni che mantiene la possibilità di fornire uno spirito critico e una cultura alternativa a quella promossa dalle classi dominanti.

Una cosa è certa: è paradossale che nel 2020, dopo ormai un trentennio dall’avvento della rivoluzione informatica, non si sia capaci di organizzare un piano di reclutamento sul lungo periodo che sappia tener conto in anticipo dei pensionamenti previsti e dei titoli acquisiti nel corso degli anni dagli aspiranti docenti. Se, come sembra, in realtà si procederà con una “didattica mista”, credo che il Governo eviterà di aumentare in maniera spropositata l’organico a disposizione, per quanto sarebbe certamente la soluzione più auspicabile nella logica del “lavorare meno, lavorare tutti”. Sarebbe opportuno garantire soprattutto un adeguato sostegno psicologico, non solo per gli studenti, ma anche per i docenti, che vivono come tutti la condizione asfissiante della quarantena, con tutte le conseguenze deleterie del caso.

Riguardo alla possibilità di nuovi concorsi dico solo questo: bisogna uscire da questa logica dell’emergenza e imporre un sistema fisso e stabile di reclutamento con regole chiare e certe. Nel frattempo faccio notare che ci sono migliaia di docenti precari che hanno svolto la scuola di specializzazione (TFA) senza aver ricevuto la cattedra. Ai tempi della SIS non funzionava così e chi si abilitava entrava subito di ruolo. Se si sono allungati i tempi è stato per garantire alle università esangui un gettito economico maggiore garantito dalle iscrizioni di personale già adeguatamente formato. Questi sono i frutti avvelenati delle contro-riforme scolastiche che si sono susseguite da Berlinguer, Moratti, ecc. Il problema vero, lo ripeto, mi sembra l’assenza di volontà e di capacità politica di risolvere strutturalmente il problema, che tocca non solo la scuola, ma l’assetto complessivo della società.

7- In un nostro comunicato abbiamo fatto presente che l’applicazione sfrenata del digitale a scuola potrebbe celare gli interessi di profitto dei big dell’informatica. Sei d’accordo?

Sicuramente chi ha interessi nel settore ha fiutato la possibilità di trarne il massimo vantaggio e guadagno, anche solo in termini di visibilità. Anche in questo senso sarebbe auspicabile un maggiore intervento politico sulla questione. Faccio un esempio molto semplice: fin da quando è entrato in uso il “registro elettronico” non ho mai capito perché ogni scuola si organizzi autonomamente accordandosi con singole aziende, invece di utilizzare un software pubblico condiviso dall’intero corpo scolastico nazionale. Si potrebbe oggi fare lo stesso discorso per il superamento del digital divide e la messa in sicurezza dei dati informatici, la quale non può essere lasciata in delega alle aziende, che evidentemente cercano di trarne il massimo profitto, con rischi notevoli della privacy. Anche in questo caso sarebbe opportuno avere delle aziende “pubbliche”, “statali”, che possano garantire a prezzi politici i servizi indispensabili per garantire il rispetto dei diritti costituzionali al lavoro e allo studio. È importante far capire che un intervento politico di questo tipo razionalizzerebbe anche le spese, risultando conveniente per l’erario pubblico, che sarà già duramente provato di suo negli anni a venire.

Anche questo tema, come i precedenti, porta sempre alla seguente considerazione: non usciremo da questa crisi senza maggiore organizzazione sociale, ma l’impressione è che serva una vera e propria rivoluzione.

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