PERCHÉ CINA E RUSSIA NON SONO PAESI IMPERIALISTI

Giu 10, 2024 | articolo

[Scarica qui il pdf]

Ottima riuscita dell’assemblea pubblica sul tema “Cina e Russia: paesi imperialisti?”, organizzata a Milano presso la sala 1° maggio il 27 maggio 2024 su iniziativa della sezione milanese di Resistenza Popolare, assieme a Miracolo a Milano e alle sezioni locali di Patria Socialista e del Partito dei CARC. Dopo l’introduzione di Alessandro Pascale (Resistenza Popolare) ha portato un saluto il segretario milanese del Partito Comunista Italiano Massimo Cimbali, poi il giornalista Evgeny Utkin ha approfondito il discorso sulla Russia, andando ben oltre la relazione qui sotto riportata. È intervenuto Vladimiro Merlin per il Movimento per la Rinascita Comunista e a seguito le tre relazioni tenute da Alessio Gasperini (Miracolo a Milano), Mattia Cavatori (Partito dei CARC) e Marco Mainardi (Patria Socialista). Ne è seguito un maturo dibattito politico che ha accresciuto la coscienza dei partecipanti.

L’iniziativa ha evidenziato una ricchezza e convergenza oggettiva di analisi, seppur con sfumature differenti, sull’analisi attuale e sulla constatazione che Russia e Cina non siano equiparabili ad essere considerati Paesi imperialisti, nemmeno facendo riferimento alle categorie leniniste. Questa è la nostra risposta a chi, portando avanti la dottrina degli “opposti imperialismi”, fa oggettivamente il gioco della propaganda di Washington e Bruxelles.

Si pubblica di seguito il video (disponibile sul nostro canale Youtube) e gli atti scritti delle relazioni tenute dagli enti organizzatori.

INTRODUZIONE
(di Alessandro Pascale)

La sezione milanese di Resistenza Popolare, assieme a Miracolo a Milano e alle sezioni locali di Patria Socialista e del Partito dei CARC, ha deciso di organizzare un dibattito pubblico sulle questioni internazionali invitando gli organizzatori e una serie di ospiti scelti, tra cui il giornalista Evgeny Utkin, a rispondere alla domanda chiave: “Russia e Cina sono Paesi imperialisti?”

Il tema è dirimente: nella fase attuale, in cui molti hanno acquisito consapevolezza dell’inciviltà capitalistica occidentale, si tratta di capire se Russia e Cina, perni essenziali dei BRICS, corrispondano a quelle dittature terrificanti ritratte dai media “liberali” oppure se non siano addirittura modelli alternativi al nostro da cui imparare e da appoggiare, ed eventualmente con quali prospettive e limiti.

Il presupposto comune delle forze che promuovono questo incontro è certamente la constatazione dell’esistenza di un imperialismo occidentale che fa perno sulle organizzazioni della NATO e dell’UE. Si tratta di capire se il movimento antimperialista italiano, e più in generale occidentale, possa trovare un alleato in Russia e Cina, e se questa alleanza sia motivata da ragioni tattiche e/o strategiche. Siamo tutti d’accordo infatti che in una contrapposizione tra “opposti imperialismi” il proletariato mondiale non ha interesse ad appoggiarsi su alcuna forza in campo, ma solo l’obbligo morale di rafforzare le proprie organizzazioni.

Una proposta politica credibile per il popolo italiano passa necessariamente da un’analisi adeguata delle questioni internazionali, sviscerando le forze in campo nel proprio campo ed in quello “avverso”.

INTERVENTO DI ALESSANDRO PASCALE
(membro della Direzione Nazionale di Resistenza Popolare)

Nonostante rapporti storici plurisecolari di collaborazione tra le civiltà italiane, russe e cinesi, il totalitarismo “liberale” promuove oggi a piene mani narrazioni russofobe e sinofobe, descrivendo questi due Paesi come due regimi autoritari, dittatoriali, se non addirittura totalitari. Una parte importante nel movimento comunista occidentale, ed in proporzione molto più ampia nei settori più genericamente antifascisti e anticapitalisti, accetta perfino la definizione di paesi fascisti e imperialisti.

Partendo da tali equivoci si può arrivare a posizionamenti assurdi come quello preso in questi giorni da Lotta Comunista, i cui militanti sono arrivati alle mani con militanti filopalestinesi. La tesi di fondo che caratterizza questa organizzazione è quella degli “opposti imperialismi”, fatta propria anche da altri partiti che partono da basi analitiche trockijste, bordighiste, anarchiche, talvolta perfino leniniste e maoiste, che tendono a ripetere schematicamente e meccanicamente certe analisi, destoricizzandole, contribuendo ad approfondire la crisi analitica del cosiddetto marxismo occidentale, incapace da almeno mezzo secolo di adattare le categorie della lotta di classe all’arena delle relazioni internazionali e della cosiddetta “geopolitica”.

Spesso si fa confusione tra l’accezione liberale dell’imperialismo, che si sofferma sul dominio politico-militare, e l’accezione marxista dell’imperialismo, per cui il dominio politico-militare è lo sviluppo di un dominio economico (quel che gli storici borghesi hanno chiamato “neocolonialismo” senza trarne le dovute conseguenze). Nell’analisi leninista i principali contrassegni dell’imperialismo sono in primo luogo la concentrazione della produzione e del capitale, poi la formazione di un’oligarchia finanziaria sulla base del capitale finanziario, l’importanza avuta dall’esportazione di capitale rispetto all’esportazione di merci, la nascita di associazioni monopolistiche internazionali, e infine la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è incominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici”.

Quando Lenin elabora queste definizioni considera un mondo dominato unicamente da paesi borghesi. Nel 1917 la rivoluzione russa spezza l’anello più debole dell’imperialismo internazionale e porta alla nascita della principale potenza antimperialista mondiale. L’Unione Sovietica ha rappresentato fino al 1991 la principale opposizione alla potenza dell’imperialismo, obbligando le grandi potenze capitaliste a coalizzarsi permanentemente, pur in presenza di contraddizioni minori, per proseguire l’asservimento del cosiddetto “terzo mondo”. Almeno dal 1945 si può parlare di un imperialismo occidentale coeso contro il movimento comunista.

La caduta dell’URSS nel 1991 ha precipitato la Russia in una condizione semi-coloniale per una decina d’anni, prima di ristabilire un ferreo dominio della politica sull’economia con la presidenza di Putin. Il primo dato per cui si può dubitare che la Russia sia una potenza imperialista sta proprio nel rapporto chiaro tra Politica ed Economia nel Paese. Nonostante la Russia abbia conservato una struttura economica complessivamente capitalistica, occorre ricordare che il Cremlino continua a controllare circa il 40% dell’economia nazionale attraverso un notevole settore industriale pubblico, con il mantenimento del controllo di settori strategici, come quelli delle ferrovie, dell’energia e delle armi. Delle maggiori imprese russe ben 5 sono pubbliche. Nonostante permangano in Russia miliardari e grandi padroni (gli oligarchi), essi non detengono la direzione politica del Paese, che è saldamente in mano ad un uomo proveniente dal KGB che è cresciuto in un Paese socialista. Hanno fatto epoca i video in cui Putin ha umiliato oligarchi che esageravano nello sfruttamento assoluto dei propri lavoratori. D’altronde Putin ha anche permesso gli oligarchi continuassero ad arricchirsi, purché ciò andasse a beneficio complessivo della crescita economica nazionale, e con la clausola che non dovessero intervenire in opposizione alla linea governativa. Putin ha sempre espresso posizioni molto critiche per il comunismo, ma ha riconosciuto a Stalin e all’URSS di aver difeso il Paese dalle grandi provenienti da Occidente. Putin, come la gran parte del popolo russo, ha chiara consapevolezza politica di come sia strutturato e di quale sia stata e sia tuttora la forza dell’imperialismo occidentale, così come permane memoria del nazifascismo, resuscitato dall’Occidente nel 2014 in Ucraina, per destabilizzare uno dei pochi Paesi rimasti neutrali nell’Europa orientale.

Non si può negare che Putin goda di un enorme consenso interno nel Paese, e che le elezioni più contestate nella storia liberale recente della Russia siano state quelle del 1996, quando al potere c’era Eltsin. Per quanto ci siano certe rigidità nella gestione dell’ordine pubblico e viga in campo culturale un certo tradizionalismo e una moderazione dei costumi, non si può per questo parlare di fascismo, né imputare alla politica estera russa di essere imperialista. Un’analisi obiettiva della storia degli ultimi 25 anni ci dice chiaramente che la Russia di Putin ha tentato in un primo tempo (anni ’00) di collaborare con il G7 e con Washington per costruire un mondo realmente multipolare.

Le guerre in Afghanistan e Iraq, unitamente alla prosecuzione dell’espansione nell’Europa orientale della NATO e dell’UE, e all’emergere di sempre maggiori contraddizioni negli USA durante la grande crisi 2007-08, hanno convinto ben presto Mosca della necessità di costruire un blocco alternativo a quello occidentale, che costituiva sempre più una minaccia esistenziale. Nascono così nel 2009 i BRICS, garantiti dalla rinnovata forza militare russa e dal peso economico cinese. L’aggressione occidentale alla Libia e all’alleata Siria (2011) obbliga la Russia ad intraprendere le prime operazioni militari contro l’Occidente, che ha sostenuto apertamente il terrorismo islamico come arma di destabilizzazione politica anche nella stessa Europa. La rivoluzione “colorata” in Ucraina inizia non a caso due anni dopo (2013), dopo un’accurata preparazione pianificata da decenni. Ulteriori tentativi di destabilizzazione occidentale si sono verificati in tutti i paesi limitrofi alla Russia, dalla Bielorussia alla Georgia, al Kazakistan, fino al Kirghizistan.

La conclusione è che la guerra attuale in Ucraina non è espressione dell’imperialismo, anzi essa è dovuta ad una rivendicazione di sicurezza, oltre che di dignità, autonomia e indipendenza di un popolo e di una nazione, che mantengono una preziosa coscienza politica antimperialista. I russi più di tutti ricordano bene che il fascismo nasce e viene coltivato dalle classi dirigenti borghesi nel momento in cui queste non riescono più a governare con altri mezzi più “liberali”. I dati storici ci dicono che la lotta antifascista e antimperialista di Putin non è propaganda, ma un dato oggettivo.

L’elemento di connessione essenziale, con cui passiamo a parlare brevemente della Cina, è dato proprio dall’alleanza organica tra Mosca e Pechino per costruire un nuovo mondo fondato realmente sul diritto internazionale e sul diritto dei popoli aggregati in Stati di autodeterminare se stessi senza dover sottostare ad alcuna forma di imperialismo.

Alcuni accusano la Cina di essere non solo un paese capitalista, pieno di multimiliardari, e quindi non un paese socialista, ma addirittura un paese imperialista che sta schiavizzando e colonizzando l’Africa e altri Paesi, oltre che una dittatura che impone un dominio tecnologico sulla propria stessa popolazione.

La nostra posizione è che la Cina sia oggi l’avanguardia della lotta antimperialista e del movimento comunista internazionale. Mentre la Russia costituisce un capitalismo di Stato a guida personale (in una sorta di cesarismo progressivo), in Cina il capitalismo di Stato è ancora più forte e controllato dal Partito Comunista Cinese, che con oltre 95 milioni di iscritti è ad oggi l’organizzazione politica più grande del mondo. In Cina non solo l’Economia è controllata dalla Politica, ma la Politica è controllata nella sostanza dalla leadership del Partito Comunista Cinese, che da decenni promuove lo sviluppo delle forze produttive lasciando ampio spazio ai privati (sempre comunque controllati con almeno un membro del Partito in ogni consiglio di amministrazione aziendale), ma promuovendo attivamente con un vasto settore pubblico la cooperazione e lo sviluppo sia dentro che fuori la Cina.

L’esportazione di capitali e i prestiti dati ad altri Paesi del mondo sono fatti spesso a condizioni molto più vantaggiose rispetto alla concorrenza occidentale, che fino a quel momento aveva mantenuto con la forza il monopolio neocoloniale. Laddove vigeva lo sfruttamento assoluto dell’imperialismo occidentale la Cina ha portato la possibilità di una collaborazione paritaria, in cui entrambi i contraenti traevano vantaggio attraverso uno scambio tra risorse, merci, know-how e costruzione di infrastrutture. Dall’avvento del mondo unipolare in politica estera la Cina si è opposta coerentemente alle politiche guerrafondaie dell’Occidente, e non ha mai promosso un’avventura bellica fuori dal proprio territorio. L’unica base militare fuori dal proprio Paese è a Gibuti in uno spazio concordato con il governo locale (secondo accordi che riguardano anche altri Paesi), e ha la funzione di garantire i traffici commerciali contro eventuali atti di pirateria corsara.

La maggior parte del movimento comunista internazionale, comprese le rappresentanze degli sfruttati africani, sostiene e legittima l’operato progressivo della Cina nello scenario internazionale, e comprende che essa stia costruendo una forma diversa di globalizzazione, più equa, solidale e non predatoria. Le cosiddette “minacce” a Taiwan riguardano un territorio che è storicamente appartenente alla Cina, e che ha costituito dal 1949 in poi un avamposto dell’imperialismo occidentale, che ha supportato il regime nazionalista di Chiang Kai-shek sconfitto sul continente. Tale rivendicazione territoriale assume peraltro anche l’aspetto di una politica di sicurezza per controllare un territorio da cui in passato sono già partiti gli aerei statunitensi per bombardare città cinesi.

Riguardo all’assetto interno il PCC in 40 anni ha tolto 800 milioni dalla povertà, il cui flagello oggi non esiste più nel Paese. Le condizioni di lavoro e i salari continuano a crescere e a migliorare, così come i processi di democratizzazione e sindacalizzazione. I cinesi continuano ad affermare chiaramente di essere nella prima fase di costruzione di una società socialista, sono consapevoli delle contraddizioni e delle problematiche interne derivanti dal mantenimento di un sistema di mercato e dalla permanenza di rapporti di produzione capitalistici, ma mantengono un ancor più forte settore pubblico che comprende alcuni delle aziende più potenti del mondo. In Cina più che in Russia è rimasto un punto centrale il monopolio statale su tutta una serie di settori industriali ed economici giudicati strategici per lo sviluppo del Paese.

Il nostro giudizio, come Resistenza Popolare, è quindi chiaro e netto: né la Russia né tantomeno la Cina oggi sono equiparabili a potenze imperialiste, anzi la loro alleanza costituisce oggi il perno più saldo di un vasto fronte antimperialista internazionale che comprende interi Stati, popoli e organizzazioni. Riteniamo quindi che sia interesse del popolo italiano, e più in generale delle classi proletarie di questo Paese, che l’Italia muti il proprio posizionamento internazionale ponendo termine alla propria adesione al criminale imperialismo occidentale che oggi minaccia la deflagrazione della terza guerra mondiale. Se vuole un futuro degno del suo passato l’Italia deve uscire dalla NATO e dall’UE e riallacciare relazioni diplomatiche ed economiche avanzate con Russia, Cina, e tutti i Paesi del mondo che stanno lavorando ad un nuovo mondo multipolare, più giusto ed equo.

INTERVENTO DI EVGENY UTKIN

Per rispondere a questo quesito, possiamo far riferimento a Vladimir Lenin, e al suo saggio del 1916 (pubblicato nel 1917) l’Imperialismo, fase suprema del capitalismo (in russo: Империализм как высшая стадия капитализма). E anche se l’articolo è stato scritto più di 100 anni fa, rimane ancora attuale.

Lenin descrive i meccanismi del capitalismo finanziario come fonte di profitto per il colonialismo imperialista.

Ne sono conseguenze i diversi fenomeni speculativi, finanziari, di borsa, dei terreni, immobiliari. Se la forma dominante del capitale non è più quella industriale, ma è quella finanziaria, se «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è caratteristica l’esportazione del capitale […] la necessità dell’esportazione di capitale è determinata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato più che maturo e al capitale […] non rimane più un campo di investimento redditizio».

Secondo la visione leniniana, in questa fase si mostra più palesemente il carattere antisociale e l’irrazionalità del capitalismo e la conflittualità che esso provocava fra la sua necessità di profitto e i bisogni sociali della popolazione. Si può riassumere la definizione leniniana di imperialismo come «capitalismo giunto alla fase dello sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, ha acquisito grande importanza l’esportazione dei capitali, è iniziata la divisione del mondo fra i trust internazionali e i maggiori paesi capitalistici si sono divisi l’intera superficie terrestre».

A queste caratteristiche meglio di tutti gli altri paesi corrispondono gli USA, che da decenni ormai non è più un paese industriale, ma finanziario, dove una grande maggioranza lavora nel campo finanziario e dei servizi, e il maggior profitto si prende dalla dominanza del dollaro, che si stampa e si impone ad altri paesi come un dazio, mentre il dollaro ormai da 50 anni, sta perdendo il suo reale valore staccandosi dall’oro.

La Russia non ha un enorme potere finanziario, e non esporta i capitali.

Tornando alla più moderna definizione di imperialismo,

«politica di potenza e di supremazia di uno stato intesa a creare un impero mediante la conquista militare, l’annessione territoriale e lo sfruttamento economico di altre nazioni».

Non mi sembra, anche negli ultimi 10 anni, che questa definizione possa riferirsi alla Russia (anche se i media occidentale la mettono volentieri).

Anche se la Russia si chiamava Impero russo, e con la formazione dell’URSS il territorio d’influenza russa era diventato ancora più ampio (un sesto del territorio terrestre mondiale), lo sfruttamento economico di altre nazioni non è stato il fattore fondamentale. Se guardiamo ai bilanci dell’Urss possiamo notare che le Repubbliche aderenti (sia dell’Asia Centrale, che i Baltici) prendevano di più dal budget federale al quale contribuivano. La Russia al posto di sfruttare i territori limitrofi contribuiva come donor. E se davvero fosse voluta rimanere un impero, si sarebbe opposta con tutta la sua forza allo scioglimento dell’Unione Sovietica, anche spargendo sangue e causando tanti morti.

E anche l’espansione verso l’Ucraina non si può per certo attribuire alla mancanza di territori o alla mancanza di risorse naturali (carbone o gas), a differenza di altre guerre imperialiste iniziate maggiormente dagli Stati Uniti e la Nato: Iraq, Libia, Siria e tanti altri. 

INTERVENTO DI ALESSIO GASPERINI

(per Miracolo a Milano)

In un contesto internazionale segnato da una fase di sviluppo economico e demografico senza precedenti del secondo e del terzo mondo, un contesto in cui l’egemonia atlantica, del dollaro, del “Washington Consensus” e dei suoi alleati viene messa in discussione, insieme all’ordine internazionale che l’ha accompagnata, la Cina e la Russia sembrano potere e volere esercitare una leadership tra i Paesi non allineati. Non solo individualmente, ma anche come partner strategici.

Come conseguenza delle sanzioni imposte alla Russia e le limitazioni di accesso ai mercati europei, i due Paesi si sono infatti ulteriormente avvicinati: “In appena due anni, l’UE, che fino a poco tempo prima rappresentava il 48% del commercio estero russo, è scesa al 20%, mentre la quota dell’Asia è salita dal 26% al 71%. Nel 2023, gli scambi russi con Pechino hanno raggiunto la cifra record di 240 miliardi di dollari, con un aumento di oltre il 60% rispetto ai livelli prebellici. La Cina ha assorbito il 30% delle esportazioni russe e fornito quasi il 40% delle sue importazioni” (Roberto Iannuzzi).

A mezzo stampa e in tv, i due vengono puntualmente demonizzati; rappresenterebbero infatti le colonne portanti della nuova “asse del male”, come definita. Non solo dittature, autocrazie, regimi, oggi vengono indicate all’opinione pubblica anche come avversario militare che mette presuntamente a rischio la prosperità dei Paesi della nostra alleanza. Solo quattro giorni fa, a poche ore di distanza l’una dall’altra, l’Huffington Post titolava: “Putin vuole sconfinare nel Baltico. I russi contendono i mari a Finlandia e Lituania”, mentre l’agenzia Adnkronos seguiva con un “Ucraina, Londra accusa la Cina: Abbiamo le prove, fornisce armi alla Russia”. Il doppio esempio, fra i tanti a cui assistiamo quotidianamente, chiarisce qual è l’indirizzo propagandato all’opinione pubblica: Cina e Russia sono Paesi imperialisti ed intendono espandersi, economicamente, politicamente e oggi militarmente, ai danni del “mondo libero” e democratico; sono corpi estranei a quella comunità internazionale a trazione, o esclusivamente, occidentale.

Nel merito di questo dibattito è recentemente intervenuto Andrej Susencov, politologo ed esperto di relazioni internazionali dell’Università di Mosca: “Eppure – si pronuncia così, – in Occidente la Russia è costantemente percepita come un elemento estraneo, come l’altro. E sull’altro, suggeriscono gli psicoanalisti di scuola junghiana, il soggetto irradia la propria ombra, proietta i propri difetti, negati”.

È questo un primo elemento da tenere saldo nel dibattito in merito al ruolo e alla natura di Russia e Cina: una cautela, consapevole dell’influenza esercitata dalla stampa, e in generale dalla cultura anglosassone, nell’indirizzare le nostre conclusioni verso giudizi severi e consensi involontari alla linea della NATO; una cautela consapevole delle difficoltà di giudizio che sempre acuiscono le distanze geografiche, ma consapevole anche di essere, noi, portatori di un’autoreferenzialità che spesso ci crede unici portatori del lume del Diritto, della politica e della civiltà stessa.

Prima di avventurarci ulteriormente nella discussione, è bene chiarire anche cosa voglia dire “Imperialismo”. In tanti, più autorevoli di noi, nel corso del tempo hanno provato a darne una definizione appropriata e coerente. Ricordiamone giusto qualche tratto che possa accompagnare le riflessioni successive: politica di potenza, volta al predominio su altri territori e nazioni tramite espansionismo militare e lo sfruttamento economico. Spesso accompagnata da idee di supremazia e legittimità data dalla forza, una postura del potere le cui braccia sono protese minacciosamente verso popolazioni straniere e idiomi sconosciuti, distanti dalla propria sfera di influenza geografica e culturale.

In questi termini non si direbbe che, pur sommariamente e con i distinguo dovuti alla storia, alla complessità e alle diversità delle due, da Cina e Russia emerga una spiccata natura imperialista, almeno non canonica. 1) Nessuno dei due Paesi sta perseguendo con costanza politiche militari di espansione attiva. 2) Nell’ambito delle relazioni internazionali, sono sostenitori di inediti spazi di mediazione e sostengono il ruolo del Diritto internazionale di fronte alla manifesta illegalità occidentale, laddove questo possa valere o convenire. 3) A livello economico, sono state promotrici di piattaforme di scambio e sviluppo “a mutuo beneficio”, un fatto riconosciutogli dai vari, e numerosi, interlocutori ad ogni livello di relazione.

Non sono della stessa idea gli “opinion-maker” occidentali, che battono il ferro delle maggiori “controversie”. Ne accenneremo qui solo le più discusse: il conflitto Russo-NATO sul suolo ucraino, che va invece inquadrato nel contesto della precedente guerra del Donbass e dei piani di espansione ad Est della stessa Alleanza Atlantica; il caso di Taiwan, forse più ascrivibile all’insieme delle rivendicazioni territoriali, di carattere unitario e nazionale, che hanno codici e letterature differenti rispetto al perimetro dell’imperialismo; infine, l’intervento cinese in Africa.

Quest’ultimo, in particolare, con le sue acquisizioni territoriali, i monumentali interessi economici, l’influenza e le presunte ingerenze politiche, presta il fianco alle accuse, più o meno circostanziate, di mercantilismo e neo-colonialismo. Certamente, così come quello occidentale, anche l’apparato produttivo cinese cerca sbocchi e nuovi canali di approvvigionamento, ma alcune differenze saltano subito all’occhio. Ad esempio, quei 240 miliardi di dollari dalla Cina ai Paesi in via di sviluppo, che tanto hanno preoccupato Malpass, il presidente della Banca Mondiale, negli studi della BBC; oppure quel report della stessa McKinsey che accerterebbe che “le imprese cinesi dimostrano interesse nelle assunzioni e nei programmi di formazione dei lavoratori africani”, un atteggiamento differente dal consueto mordi e fuggi del corporate colonialism a cui siamo abituati; o anche il lavoro della London School of Economics, che indica la “riduzione delle diseguaglianze economiche nella regione e tra le regioni coinvolte” in seguito ai “progetti di sviluppo cinesi in generale, ed in particolare nel settore dei trasporti”, con un “effetto positivo significativo e persistente anche dopo 6-12 anni”.

Insomma, anche se appena menzionati, non sembra si possano ritenere questi esempi sufficienti a dimostrare la chiara matrice imperialista, o a predirne un seguito certamente espansionista. Vi sono poi ulteriori differenze che sembrano spaventare le cancellerie occidentali, se non l’intera cultura politica, data qui per inevitabile. Nonostante le sanzioni, gli embarghi e la pirateria commerciale, quell’orizzonte di sviluppo economico e sociale raggiunto tramite politiche statali, tramite una pianificazione politica nazionale e di cooperazione internazionale, incarna un esempio alternativo, storicamente credibile e fin troppo scomodo, non solo sul campo industriale, ma anche agli occhi dell’opinione pubblica, radicalmente differente rispetto alla deregolamentazione finanziaria e al governo dei mercati del paradigma “democratico” imperante qui.

È per questo che non solo in merito all’imperialismo, ma anche nella ricerca di riferimenti tra le soluzioni politiche e geopolitiche adottate oggi nel mondo, una analisi senza pregiudizi va incoraggiata sulla Cina, sulla Russia e sulle differenze che esse esprimono rispetto alle nostre Istituzioni. Tenendo presente che quella cautela da esercitare, indicata in precedenza, impone una prudenza anche di senso opposto. Se riscontriamo infatti delle “asimmetrie virtuose” pendere verso est, alcuni tratti in comune vanno ugualmente ravvisati. Tra gli altri, alcune tendenze monopolistiche e comunque corporative, che possono incentivare subalternità cetuali, così come gli apparati di gestione di massa e di controllo sociale, di repressione e di sorveglianza del territorio e della popolazione.

In conclusione, al di là di concrete differenze di governance, sia esso Russo o Cinese, e anche se “imbrigliato” nella rete di controllo esercitato dal “socialismo politico”, come affermato da Xi JinPing, non possiamo escludere che le impersonali tendenze del capitalismo ripropongano le consuete iniquità e forse anche uno sbocco imperialista, quando teorizzato come sviluppo naturale del capitalismo; ad oggi, però, va prima di ogni altra considerazione riconosciuto ai due Paesi un ruolo propositivo, che può divenire volano di affrancamento dall’imperialismo, quello sì, occidentale, e di nuove trasformazioni positive del mondo.

INTERVENTO DI MATTIA CAVATORI

(del Partito dei CARC)

A titolo di premessa, e come strumento di orientamento bisogna rispondere a due domande:

1. cos’è l’imperialismo?

2. come si manifesta? Ossia quali sono i suoi tratti principali.

Lenin ci indica bene cos’è l’imperialismo, la fase suprema dell’imperialismo, ma ci indica anche alcuni pilastri su cui ci possiamo basare, pilastri caratterizzanti l’imperialismo, o meglio l’epoca imperialista, che non è solo l’epoca del decadimento della borghesia ma è soprattutto l’epoca della rivoluzione proletaria.

L’imperialismo, ci dice Lenin, è principalmente un movimento economico della società, che ha quattro pilastri:

1. prevalenza del monopolio sulla libera concorrenza;

2. prevalenza del capitale finanziario (fatto da unione tra capitale industriale e capitale bancario) sulle altre forme di capitale;

3. prevalenza dell’esportazione di capitali rispetto all’esportazione di merci;

4. la divisione del mondo in paesi imperialisti e paesi oppressi.

Usando questi criteri, se studiamo la RPC e la Russia, vediamo ad esempio, come questi paesi non esportano capitali ma principalmente merci; la finanziarizzazione dell’economia non va a soffocare l’economia reale, tutt’altro: con l’Operazione Militare Speciale russa si ha avuto uno sviluppo importante dell’economia reale contro la finanziarizzazione (ritiro dalla borsa di alcune aziende russe); le relazioni internazionali sono di carattere cooperativo e non di dominio.

Quindi ci sono delle differenze strutturali di carattere economico, oggettive, ma ci sono anche delle differenze sovrastrutturali di carattere politico: La RPC e la Russia vengono rispettivamente da rivoluzioni socialiste vittoriose, la cui eredità e i cui insegnamenti vivono ancora oggi in quei paesi, ovviamente in misura differente, ed è proprio quell’eredità di conquiste e di protagonismo delle masse popolari che gli USA e la NATO vogliono smantellare. L’Ucraina è lì a dimostrarcelo. I primi provvedimenti del governo Zelensky fanno piazza pulita di tutta una serie di conquiste provenienti dall’epoca sovietica, principalmente i diritti dei lavoratori e con questi anche la sovranità del paese.

Quell’eredità si è modificata nel tempo, nella storia dei diversi paesi che hanno costruito il socialismo e nella nostra analisi l’abbiamo individuato in tre aspetti, quelli che noi chiamiamo i tre pilastri del socialismo (dittatura del proletariato, proprietà collettiva dei mezzi di produzione, partecipazione crescente delle masse popolari alla gestione del paese).

Su questa base non possiamo considerare ne RPC ne Russia al pari di USA e degli altri paesi imperialisti, né tantomeno annoverarli in tale categoria, come fanno alcune formazioni tra le quali il KKE.

Nella storia dei primi paesi socialisti, soprattutto per quanto riguarda l’URSS e le democrazie popolari, e in maniera diversa nella RPC, abbiamo compreso che essi hanno attraversato tre fasi:

1. la prima fase di costruzione del socialismo (che per l’Unione Sovietica va dal 1917 al 1956), in cui tutta la potenza costruttrice delle masse popolari organizzate e la linea che i bolscevichi elaborano porta non solo allo sviluppo delle forze produttive ma soprattutto al controllo operaio e contadino e al loro protagonismo all’interno della società sovietica.

2. la seconda fase è quella di introduzione del capitalismo in via pacifica (che per l’Unione Sovietica va dal 1956 alla fine degli anni ‘80), in cui vengono introdotte, ad esempio, misure di autonomia per le aziende (per cui le aziende possono agire come venditore e compratore di semilavorati, fuori dal piano)

3. la terza fase è quella di introduzione del capitalismo ad ogni costo (fase che va dalla fine degli anni ‘80 ed in corso oggi in Russia).

Quindi oggi noi stiamo studiando. Nello studiare abbiamo rettificato la nostra posizione sulla RPC che prima collocavamo nella seconda fase, nella fase di introduzione del capitalismo per via pacifica, a partire dal ‘76 con Deng e le sue riforme di apertura economica, che sono misure vere e che ci sono state, e sono state promosse dalla destra del partito con una linea specifica, che però ha portato agli eventi di Piazza Tienanmen.

Nella nostra precedente analisi non avevamo tenuto conto della reazione del PCC a quegli eventi e della storia della Cina: gli eventi di Piazza Tienanmen sono stati un campanello d’allarme, il significato politico di quei fatti riguarda il tentativo di passare dalla seconda alla terza fase, che abbiamo illustrato sopra.

Nello specifico, i compagni cinesi hanno imparato dall’esperienza sovietica e vedendo dove portavano gli eventi di Piazza Tienanmen e che fine avesse fatto l’Unione sovietica, hanno invertito la rotta, ossia la sinistra all’interno del partito, quella che aveva capito che continuando con la linea di Deng si andava a smantellare le conquiste del socialismo e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.

Quella sinistra ha saputo attuare una linea di sviluppo, di avanzamento nella costruzione del socialismo in tutti e tre i pilastri, ed è la parte questa che oggi ancora dirige la RPC ed è maggioritaria all’interno del PCC. Perchè diciamo questo?

Perchè oggi quella parte promuove:

– formazione al materialismo dialettico come insegnamento nelle scuole;

– promuove mobilitazione ed organizzazione delle masse popolari;

– i membri del partito sono sottoposti a candidature e messe in prova, misure che, ad esempio, durante il periodo revisionista in URSS sono state affievolite di molto;

– colpisce gli elementi della borghesia nazionale che non rispettano prassi e regole.

Alcuni di questi sono tratti tipici della prima fase, per intenderci, dei tempi di Mao.

L’altro aspetto di cui non avevamo tenuto conto era la storia della Cina, che a differenza dell’Unione sovietica, la cui borghesia con la Rivoluzione d’Ottobre è fuggita nei paesi imperialisti o è stata giustiziata, diversamente la borghesia nazionale cinese si è messa al servizio del progetto di rivoluzione di nuova democrazia del PCC.

Tutta questa analisi a cosa ci deve servire?

Ci deve servire soprattutto a capire ed imparare dall’esperienza cinese e dall’esperienza sovietica, trarre insegnamenti senza aspettare che la RPC o la Russia ci portino la rivoluzione. Trarre insegnamenti tenendo conto delle dovute differenze tra i diversi paesi, tra RPC e Russia e il nostro.

Con l’obiettivo principale che quegli insegnamenti siano utili per costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese. Che è un paese imperialista e quindi per noi è direttamente una rivoluzione socialista: questo significa che per noi non c’è spazio di trattativa con la borghesia: è una classe da eliminare.

Questo è anche il miglior modo che abbiamo per contribuire, sostenere i compagni cinesi e i compagni russi.

Lenin e Stalin ce lo dicevano già ai tempi in cui l’URSS si affermava come base rossa a livello mondiale: “noi abbiamo fatto la rivoluzione perché c’erano le condizioni per farla, la nostra esperienza dimostra che si può fare, ma aspettiamo voi comunisti dei paesi imperialisti, di Germania e Italia”.

Il multipolarismo quindi non è una linea adatta al nostro paese per fare la rivoluzione socialista, come ci insegna Mao ed i compagni cinesi stessi, noi dobbiamo applicare la teoria universale della Guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, alle condizioni concrete del nostro paese. Cosa su cui invitiamo tutti quelli che sono interessati a studiare insieme, sia le condizioni, forme e risultati della lotta di classe nel nostro paese ma anche il marxismo-leninismo-maoismo e l’esperienza dei primi paesi socialisti.

Il multipolarismo può essere una linea per la RPC e gli altri paesi che resistono e si contrappongono alle aggressioni dei gruppi imperialisti USA, UE e sionisti, stante le loro condizioni oggettive.

Quindi la RPC, la Russia, così come la Repubblica democratica di Corea e gli altri paesi sono sicuramente dei nostri alleati.

Vado a concludere dicendo che consapevoli che la storia e le condizioni del nostro paese e quelle della RPC e Russia sono differenti, marciamo divisi, ognuno con una strada differente adeguata al proprio contesto, spalleggiandoci l’un l’altro, per colpire uniti contro il nemico comune.

INTERVENTO DI MARCO MAINARDI

(per Patria Socialista Milano)

«L’imperialismo consiste in un rapporto, formale o informale, in cui uno stato controlla l’effettiva sovranità politica di un’altra società politica. Esso può venire realizzato con la forza, con la collaborazione politica, o mediante una dipendenza sociale, economica o culturale. L’imperialismo è semplicemente il processo, o la politica, di fondazione o di gestione di un impero». (Michael W. Doyle, Empires, Ithaca, Cornell University, Press 1989-Politologo statunitense)

È paradossale che proprio dall’Occidente capitalista e imperialista per eccellenza venga l’accusa a Russia e Cina di essere due paesi imperialisti ma ciò non toglie che la domanda posta dal titolo della nostra serata necessiti di una risposta chiara e nel contempo articolata. La risposta, pur nella chiarezza, necessariamente deve essere diversa rispetto ai due paesi. La Russia oggi è una repubblica semi presidenziale federale con un modello di società capitalista; la Cina è invece una repubblica popolare a guida socialista, entrambe esposte agli attacchi dell’imperialismo occidentale in primis di quello statunitense. Ciò implica, con tutta evidenza, la complessità dell’analisi di una realtà non priva certamente di contraddizioni. Patria Socialista, interessata a elaborare un nuovo Socialismo, nel solco dell’analisi concreta della realtà che non rinuncia allo studio e all’attualità del passato ma che superi vecchi schemi, coglie nei cinque punti di Lenin, esposti in L’imperialismo fase suprema del capitalismo, la possibilità di articolare una risposta in un contesto geopolitico mondiale odierno, profondamente mutato rispetto al 1917, anno in cui il saggio venne pubblicato in una forma necessariamente “economicista” per sfuggire alla repressione zarista.

RUSSIA. La Russia è certamente un paese capitalista ma non necessariamente imperialista. Tale affermazione pur contraddittoria ma altrettanto complessa scaturisce da un’analisi circostanziata da quanto enunciato dallo stesso Lenin nel suo saggio, poiché egli si riferisce a un capitalismo che ha raggiunto il suo massimo sviluppo, mentre la Russia odierna è sì capitalista ma di un capitalismo di tipo semi-periferico (secondo il “Sistema – mondo capitalista” di Immanuel Wallerstein) che le impedisce, di fatto, di essere considerata tout court come nazione imperialista. Quel che è certo e che è una nazione sottoposta senz’altro a un accerchiamento da parte dell’occidente europeo e atlantista – esso sì decisamente imperialista – tramite la sua proiezione militare, la NATO. Da molto tempo provocata in mille modi e sottoposta persistentemente a una guerra ibrida dichiaratamente antirussa e alimentata continuamente dalla compagine imperialista, la Russia è stata costretta alla soluzione militare dando il via all’operazione militare speciale in Ucraina – anch’essa vittima sacrificabile dell’imperialismo occidentale. Più di 1500 sanzioni sono state imposte alla Federazione Russa ma la tradizione ortodossa, la storia e l’orgoglio di una grande nazione che ha sconfitto il nazismo e l’ancor vivo retaggio ex sovietico alimentano tuttora la resistenza. Certamente, ed è bene chiarirlo, la Russia di oggi non è più l’Unione Sovietica di un tempo, tuttavia non è detto che la via verso un nuovo socialismo in “stile russo”, perseguita dal PCFR (partito d’opposizione a Putin), che guardi magari all’esperienza cinese, sia del tutto preclusa. Tuttavia la Russia insieme ad altri Paesi si oppone al potere e all’egemonia mondiale degli Stati Uniti animando il BRICS – consesso in via di espansione costituito da nazioni emergenti che si propongono di costruire un sistema commerciale e finanziario globale attraverso accordi bilaterali non basati sul dollaro – ed è senz’altro favorevole all’instaurarsi di un sistema internazionale multipolare che scalzi l’egemonia americana nel mondo. Il nodo gordiano da sciogliere è pertanto: nostalgia per l’impero zarista o sostituirsi all’imperialismo occidentale? Per questi motivi la questione, al momento, rimane ancora aperta.

CINA. Discorso altrettanto articolato occorre fare per la Repubblica Popolare Cinese, Paese a guida socialista. Nell’ambito della sinistra non tutti concordano sul fatto che sia ancora un Paese socialista secondo il dogma marxiano dell’abolizione della proprietà privata e del mercato. È invece socialista per molti perché la politica del governo cinese mantiene il controllo sull’economia, impedisce alla borghesia di “accedere” al potere al fine di stravolgerne l’impostazione socialista, il PCC è fermamente deciso a costruire il socialismo anche nel lungo periodo. Un programma che non si discosta poi così tanto da ciò che disse Lenin già nel lontano 1918: “Noi siamo lontani anche dalla fine del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, ma abbiamo il dovere di dire che la nostra repubblica dei soviet è socialista, perché noi ci siamo avviati su questo cammino”. Indubbiamente la via cinese al socialismo con la sua economia socialista di mercato (che fa scuola nei paesi socialisti attuali e in quelli progressisti dell’America Latina) non è riconducibile all’egemonia culturale e politica degli schemi marxiani occidentali ma certamente mette in luce il fatto che non esiste un percorso “da manuale” per la transizione al socialismo e che le teorie politico-scientifiche, senza essere rinnegate, possono essere rivitalizzate da nuove scoperte, da nuove vie. Lo stesso Mao Tze-tung affermava: “Il dogmatismo e il revisionismo si contrappongono entrambi al marxismo. Il marxismo deve necessariamente andare avanti, svilupparsi in ragione dello sviluppo della pratica, non può segnare il tempo. Se si facesse stagnante e stereotipato, non avrebbe più vita”. Il pragmatismo cinese non rinnega il marxismo leninismo, anzi ne esalta i principi comunitari, ma rifugge la pedissequa adesione a modelli astratti e predilige l’adattarsi alle condizioni del momento pur di perseguire l’obiettivo del progresso e la prosperità per il suo popolo. Retaggio dell’antica etica confuciana e di una civiltà millenaria che non eliminano di certo le contraddizioni, che pure esistono, ma che al momento fanno della Cina una potenza economica mondiale che persegue una politica di pace e di diplomazia a livello internazionale. Il che ci fa dire che la Cina non è certamente una nazione imperialista né tanto meno guerrafondaia. Il suo pacifismo odierno affonda le sue radici in quello antico e millenario della sua storia ma anch’essa è sotto attacco del vero imperialismo, quello statunitense ed europeo. Ecco perché, come la Russia, la Cina è membro del BRICS e spinge affinché negli scambi internazionali il dollaro americano venga sostituito con un’altra moneta. Essa non dimentica di essere stata una ex nazione colonizzata e umiliata dall’occidente e dal Giappone ed è per questo motivo che il suo modello di relazioni internazionali multipolari si basa su cinque principi fondamentali ribaditi dal Presidente Xj Jinping: rispetto reciproco, sovranità e indipendenza nazionale, non aggressione, non interferenza negli affari interni, uguaglianza e mutuo beneficio. Quanto scritto scarta l’idea che la Cina sia una nazione imperialista al pari degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, essa piuttosto tende a un nuovo ordine mondiale che consenta a tutte le nazioni – grandi e piccole, ricche o povere – di curare i propri interessi alla pari con tutti e neppure vuole imporre il suo modello. Semplicemente tende all’armonia tra i popoli e al rispetto reciproco delle differenze tra le nazioni del Mondo.

CONCLUSIONI. Se da una parte è doverosa una strategia dell’attenzione nei confronti di Russia e Cina è anche dovere dei comunisti analizzare concretamente e senza preconcetti ciò che sta accadendo in questo momento storico. Indubbiamente la Federazione Russa, potenza militare, e la Repubblica Popolare Cinese, potenza economico-finanziaria, offrono l’immagine reale di chi si sta opponendo all’imperialismo occidentale, europeo e statunitense e di questo occorre tenerne conto. Si tratta in definitiva di prestare attenzione a ciò che potrebbe tornare utile per una lotta di liberazione nazionale, europea e internazionale. “Dove c’è una Patria Socialista c’è sempre una spinta, una solidarietà, verso la creazione di nuove Patrie Socialiste, più o meno diverse nel particolare ma sorelle nell’insieme” (Manifesto politico-filosofico di Patria Socialista).

STORIA DEL COMUNISMO

Storia del Comunismo. Le lotte di classe nell’era del socialismo (1917-2017).
Un secolo di storia contemporanea riletto in 4 tomi con la metodologia del materialismo storico. A cura di Alessandro Pascale, storico e insegnante.

STORIA DEL SOCIALISMO E DELLA LOTTA DI CLASSE

A partire dai materiali di “In Difesa del Socialismo Reale”, nasce una nuova collana, pubblicata in 10 volumi da La Città del Sole.

Clicca qui per maggiori informazioni

Partecipa al finanziamento del progetto facendo un’offerta.

IL TOTALITARISMO “LIBERALE”. LE TECNICHE IMPERIALISTE PER L'EGEMONIA CULTURALE

Il primo volume della collana “Storia del Socialismo e della Lotta di Classe”. Uscito nelle librerie nel gennaio 2019 al costo di 25 euro; Per info sull’opera e sull’acquisto clicca qui.