LA CHIAMATA ALLA GUERRA

Mar 12, 2022 | articolo

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La storia dell’umanità, l’analisi antropologica, filosofica, neurologica e perfino le più recenti scoperte scientifiche (penso al campo dell’epigenetica), mostrano che nella natura dell’uomo ci sono due elementi fondamentali, stratificatisi nel nostro DNA “profondo”: la cooperazione e il conflitto. Si tratta di comprendere come riuscire a rivolgere in maniera adeguata la sfera del conflitto ed estendere la cooperazione su basi universali.

L’uomo nasce in comunità e si sviluppa sempre all’interno di un collettivo, che diventa il suo gruppo di riferimento. Il gruppo così formato sviluppa il conflitto verso le avversità della natura, e poi verso altri gruppi rivali, nella mancanza dell’esistenza di un valido diritto internazionale. La cooperazione e la guerra fanno parte dello sviluppo storico dell’umanità.

La guerra è una componente dominante nell’uomo nella misura in cui un “gruppo”, guidato da alcuni singoli, afferma il proprio potere su un gruppo nemico, a volte offensivamente e violentemente, a volte per difesa.

L’attuale guerra tra Russia e Ucraina è stata interpretata con diverse chiavi di lettura, eppure in pochi hanno colto la vera essenza della questione. Qualcuno dice che si tratti di una sorta di “guerra nazionale”.

Le lotte “nazionali” vengono fatte iniziare nell’epoca moderna europea, dalla Guerra dei Cent’anni (1337-1453), quando Carlo VII per riprendersi il trono di Francia si giocò la carta politica della guerra santa e identitaria creando ad arte l’icona di Giovanna d’Arco.

Sarebbe interessante ripercorrere le capacità che hanno avuto le classi dominanti di costruire la propria egemonia sul popolo, dapprima sfruttando la religione, poi le tecniche mediatiche e politiche dell’epoca feudale.

Non si può però dimenticare che tutte queste lotte sono state condotte da gruppi oligarchici raccolti in casate, ristrette aristocrazie che esercitavano un dominio di classe sul 95% della popolazione. Un approccio fondato sulle guerre “nazionali” può aiutarci quindi a comprendere non le motivazioni profonde del conflitto russo-ucraino, ma solo certe argomentazioni, certe tecniche della comunicazione, utili alla mobilitazione delle masse.

Volgiamo nuovamente lo sguardo alla storia: con le rivoluzioni di fine ‘700 (1776 – USA, 1789 – Francia) le masse popolari partecipano attivamente alla conquista del potere politico, rimanendo però costantemente estromesse dal crescente dominio della borghesia.

Nel XIX secolo a Parigi si sviluppa la lotta del movimento proletario più maturo politicamente, con diverse grandi sollevazioni popolari vittoriose nelle rivoluzioni del 1830 e 1848. 100 mila operai armati che innalzavano le bandiere rosse obbligarono la borghesia ad affinare i regimi di controllo sociale: il “bonapartismo” di Napoleone III è una dittatura personalistica che si presenta per il suo livello di populismo e per una politica complessiva che anticipa pulsioni del fascismo (vedi l’uso propagandistico dei plebisciti). L’uso del nazionalismo sarà a questo punto il motivo dominante con cui Bismarck riuscirà a provocarne il crollo, grazie alla maggiore capacità politica e di mobilitazione interna, oltre che di un più solido regime industriale.

La Comune rivoluzionaria del 1871 spezza però i giochini dei potenti: per la prima volta le massi popolari, comprensive della classe operaia, conquistano il potere e intendono gestirlo da sole. La “nuova aristocrazia europea” si ricompatterà per stroncare questo esperimento nell’arco di pochi mesi, ma ormai il timore ha colpito le élite di tutto il mondo, assieme ad una nuova consapevolezza: il virus del socialismo rischia di erodere il loro dominio di classe.

È però solo con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che il motivo dominante dell’agire politico delle moderne élite borghesi occidentali (le “nuove aristocrazie”) sia riaffermare il proprio dominio mondiale combattendo il pericolo del comunismo, in ogni sua forma compaia. Le lotte politiche e le guerre dell’ultimo secolo non si spiegano al di fuori della dura lotta con cui una parte limitata del mondo sta resistendo vittoriosamente all’impero borghese.

La maggior parte delle persone oggi in Occidente ha una pessima idea del comunismo, perché gli è stato raccontato che l’Unione Sovietica e tutti i regimi comunisti hanno fatto 100 milioni di morti. È evidente che le classi dominanti screditino il proprio nemico sparando dati a caso.1 I sovrani dispongono della facoltà di imporci le loro idee, nonché i concetti stessi di giustizia e di etica. Ciò è stato sempre fatto nella storia, per quanto oggi, nella moderna società industriale, il controllo delle menti si sia assai affinato. Marcuse, osservando l’Occidente liberale, già negli anni ’60 ci parla di un dominio totalitario («la società industriale contemporanea tende ad essere totalitaria»)2.

Altrove ho riassunto le ragioni per cui ritengo che la descrizione di Marcuse sia stata pienamente confermata dall’analisi della nostra società.3 La sostanza del discorso è la seguente: la storia dell’ultimo secolo si gioca in ultima istanza su un gigantesco scontro di classe in cui il proletariato ha costantemente governato, attraverso le proprie avanguardie politiche, su una porzione importante del globo mondiale.

Oggi abbiamo dimenticato che in Occidente la conquista del diritto di voto con il suffragio universale e della democrazia “liberale” si è accompagnata ad una costante lotta tra rappresentanze politiche della borghesia e del proletariato.

Le vecchie oligarchie aristocratiche avevano capito da tempo di dover trasformare il proprio dominio, passando ad uno sfruttamento “moderno” fondato sul regime salariale, laddove la schiavitù diretta non era più possibile. Questo chiaramente non valeva per le popolazioni di quello che nel ‘900 gli intellettuali “liberali” chiamavano sprezzantemente “terzo mondo”. Nel mondo “civile” invece si procedeva all’indottrinamento mascherato delle masse, secondo vecchie tecniche di dominio affinate dal “capitalismo della sorveglianza”.

La sconfitta storica del blocco comunista europeo (1989-1991) ha rafforzato enormemente il dominio egemonico delle classi borghesi, affermando il proprio dominio planetario, ad eccezione di una manciata di pochi “paesi canaglia”, a detta di Washington.

Nel 1991 gli Stati Uniti possono affermare il “nuovo ordine mondiale”, all’interno del quale rimangono pochi paesi completamente indipendenti dall’Impero: Cuba, Cina, Corea del Nord, Vietnam, qualcosina in America latina e Africa (Libia).

La Russia di Eltsin negli anni ’90 è stata saccheggiata all’inverosimile, determinando infine una reazione politica interna. Un uomo proveniente dal KGB ha preso in mano il potere e posto un freno alle ruberie degli oligarchi. Poi ha ricostruito il paese, godendo di un grande consenso popolare per le capacità manifestate, nonostante non abbia certo ricostruito il socialismo, né dica di volerlo fare. Affermare che quest’uomo sia un matto al comando, è segno di scarse capacità cognitive o di malafede… sarebbe piuttosto opportuno tener presente che Putin conosce l’ideologia e l’esperienza dell’Unione Sovietica e non ha mai mancato di confrontarsi con esse, seppur criticamente e con grosse contraddizioni.

Non è però questo il luogo di parlare di Putin, ma di comprendere che il vero problema non sia né lui né la Russia, ma il fatto che si continui ad interpretare gli eventi internazionali con degli occhiali risalenti al XIX secolo, come quelli che blaterano di “nuovo zarismo”.

La verità è che dopo la sbornia degli anni ’90 le élite occidentali hanno presto capito che un nuovo nemico si affacciava all’orizzonte: l’ascesa di un mondo multipolare guidato dalla Cina e a cui la Russia ha ben presto dato manforte rafforzando la cooperazione economica e politica.

Dobbiamo quindi aver chiaro che la guerra a cui stiamo assistendo non nasce dal nulla ma da una rivendicazione di sicurezza, oltre che di dignità, autonomia e indipendenza di un popolo e di una nazione, ben consapevoli dei crimini atroci di cui si è reso responsabile l’imperialismo occidentale. Queste rivendicazioni, pur presenti nello stesso discorso di Putin quando parla dell’espansione della NATO, non sono però ancora sufficienti.

I russi più di tutti ricordano bene che il fascismo nasce e viene coltivato dalle classi dirigenti borghesi nel momento in cui queste non riescono più a governare con altri mezzi più “liberali”. Il fascismo è storicamente uno strumento della borghesia, che vi ricorre nei momenti in cui è a maggior rischio la propria capacità di mantenere il potere. Dal punto di vista delle élite dirigenti occidentali la diffusione del fascismo può essere anche una preziosa arma per la soddisfazione dei propri obiettivi strategici internazionali.

L’alleanza che l’Occidente ha costruito con i nazisti e gli oligarchi in Ucraina si è pienamente dispiegata nel 2013, quando una “rivoluzione colorata” ha creato le premesse per trasformare il popolo ucraino nella vittima sacrificale delle strategie di Washington. Poroshenko, Zelensky e altri burocrati corrotti si sono adeguati a questi piani, vuoi per vantaggi personali, vuoi per credo politico, vuoi per vanagloria. Ci interessa davvero molto poco…

La guerra tra Ucraina e Russia è iniziata di fatto già nel 2014, e va ulteriormente inserita in un quadro mondiale in cui la guerra è uno scenario permanente. Se i conflitti di Jugoslavia, Afghanistan, Iraq (1999-2003) erano ancora guerre incontrastate per l’imperialismo occidentale, le rivoluzioni arabe e la conquista della Libia (2011) hanno spinto la Russia a sostenere attivamente la resistenza della Siria (inizio conflitto nel 2011), dove gli USA sono giunti a foraggiare l’ISIS (i “nazisti” dell’islam) per i propri scopi.

La rivoluzione colorata in Ucraina (2013-14) va inquadrata in questo contesto. Il quinquennio successivo di relativa pace si può leggere come il risultato della presidenza Trump, che ha preferito concentrarsi sull’America latina e la Cina, ma nonostante tutto il dado è tratto.

Nel 2019 il deep state statunitense lancia la grande pandemia del covid-194 avviando l’attacco alla Cina, per sfruttarne tutte le potenzialità possibili in politica interna ed estera. La manovra fa comodo anche alle élite europee, ed è probabile che sia stata concordata con alcune loro rappresentanze.

Mentre ci ritroviamo nel periodo del più imponente progetto di riconversione economica dell’Occidente, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 gli USA alzano l’asticella delle tensioni manovrando appositamente l’Ucraina, dopo aver tentato di destabilizzare il Bielorussia e il Kazakistan. Notare che nel frattempo sono tornati i “democratici” alla Casa Bianca, con il burattino Joe Biden ad adempiere agli scopi delle élite.

A questo punto forse molti capiscono anche il senso del green pass, anche se molti altri non riescono ancora a capacitarsi di come perfino la pandemia sia stata sostanzialmente una costruzione politica estremamente raffinata.

Che fare quindi?

Nell’Occidente “liberale” la guerra sta creando un clima da resa dei conti, con una tendenza all’eliminazione delle voci dissidenti. La libertà di opinione, di parola, di stampa, sono a rischio se non già duramente compromesse dalla capacità di controllo del “totalitarismo liberale”.

Quel che è certo è che in questo contesto, in cui tutto può succedere, non ci si può limitare ad uno sterile pacifismo accompagnato dalla richiesta di “sostenere l’Ucraina”.

Occorre chiaramente ribadire che i responsabili politici di questa guerra si trovano in Occidente, a Washington in primo luogo, ma anche a Bruxelles, Berlino, Londra, Parigi e Roma. A Kiev hanno molteplici complici e servi che hanno accettato di (o si sono ritrovati costretti) a svolgere il ruolo di testa di ponte in una guerra già in atto in cui il nemico dell’Occidente non è solo la Russia, ma anche il suo partner principale: la Cina.

Non è quindi ammissibile l’equidistanza. O si sta da una parte o dall’altra della barricata. Chi non si schiera tende ad essere parte della barricata, anche se si deve cercare di fare la massima azione possibile di convincimento che il nemico principale non sia a Mosca ma a Washington.

Non si tratta di “stare con Putin”, ma di rifiutare la dottrina degli “opposti imperialismi” e di mantenere lucida la consapevolezza su chi sia il “nemico principale” che è stato in guerra quasi ininterrottamente per l’intera propria esistenza.

La lotta per la pace deve accompagnarsi sistematicamente alla denuncia dell’imperialismo occidentale a guida statunitense e alla campagna per l’uscita dell’Italia dalla NATO e dall’UE.

Allo stato attuale sarebbe folle non specificare alla classe lavoratrice che il vero nemico ce l’abbiamo a Roma, e si chiama governo Draghi. Questo banchiere, piazzato per guidare la transizione imperiale verso la “green economy” è responsabile di aver precipitato il nostro paese in un conflitto aperto con la Russia, violando l’articolo 11 della Costituzione Repubblicana. Sua, e delle forze politiche lo sostengono o gli hanno strizzato l’occhio (vd anche Meloni), la responsabilità del peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari e della classe lavoratrice, sempre più in ginocchio per la mancanza di lavoro, gli stipendi insufficienti, le bollette e il carovita alle stelle, le chiusure di aziende… tutto a causa della servitù di pochi grandi “tecnici”.

Le destre sono sempre state colluse con il grande Capitale.

Le sinistre attuali lo sono ancora di più.

Se vogliamo quindi costruire un mondo fondato sul conflitto e sulla guerra di tutti contro tutti, continuiamo a scegliere il capitalismo. Se invece vogliamo provare a costruire un mondo fondato sulla cooperazione e fraternità universali, allora non rimane altra strada che sviluppare l’opzione comunista.

I comunisti oggi devono aver chiaro che lo scenario apocalittico di un’escalation militare con un pieno coinvolgimento delle forze militari del proprio paese, non è ipotesi impossibile, anzi molto probabile. In ogni guerra lo Stato borghese rafforza il suo controllo sociale e politico in senso autoritario. Il rischio di una deriva pienamente fascista esiste, ma a promuoverlo è un movimento politico molto più ampio rispetto a quello delle solite forze di destra (Lega, Fratelli d’Italia). Esso coinvolge il Partito Democratico e le sue varie suppellettili, con alcuni fenomeni da baraccone di contorno che servono a catturare una parte del dissenso.

È giusto quindi lanciare un fronte unitario di classe e antifascista a partire dalle forze che si sono aggregate nel Comitato No Draghi, aprendo un confronto con tutte le forze politiche interessate alla difesa delle condizioni di vita popolari e delle libertà garantite dalla Costituzione repubblicana.

Ricordando che la lotta per il socialismo è parte della lotta per una reale democrazia.

Alessandro Pascale

11 marzo 2022

1Per una smentita di molti luoghi comuni e falsità palesi sulla storia del movimento comunista e delle vicende dell’ultimo secolo, si rimanda a A. Pascale (a cura di), Storia del Comunismo, Intellettualecollettivo.it, 2019 [1° ediz. In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo, 2017].

2H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, Torino 1967 [1° ed. 1964], p. 23.

3A. Pascale, Il totalitarismo “liberale”. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2018.

4Per approfondire: A. Pascale, Cause e conseguenze politiche della pandemia covid-19, Intellettualecollettivo.it, 9 gennaio 2022.

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